Un mio cliente detiene dei Buoni Poliennali del Tesoro italiani all’estero, depositati presso un soggetto terzo: atteso che non si tratta di attività finanziarie estere, può dirsi al riparo di contestazioni o si tratta comunque di “materia” per la voluntary disclosure?
Il soggetto in questione non è affatto al riparo da contestazioni, atteso che le attività finanziarie italiane detenute all’estero, pur se in deposito fisico presso terzi, come, ad esempio, i titoli pubblici ed equiparati emessi in Italia, le partecipazioni in soggetti residenti ed altri strumenti finanziari emessi da soggetti residenti, in quanto suscettibili di produrre redditi diversi di natura finanziaria derivanti da attività detenute all’estero rientrano a pieno titolo nella procedura di collaborazione volontaria. Parimenti, rientrano nella procedura anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Potete confermare che la procedura di collaborazione volontaria prevede una facoltà “alternativa” per il contribuente quanto alla determinazione della modalità di ricostruzione della redditività delle attività estere
Certamente. La legge prevede la possibilità che nell’ambito della procedura il contribuente possa avvalersi di una specifica forma di determinazione forfetaria dei soli rendimenti delle attività finanziarie detenute all’estero in violazione delle disposizioni sul “monitoraggio fiscale”. Va però prestata attenzione alla circostanza che l’applicazione del regime forfetario in luogo del regime ordinario di determinazione dei rendimenti deve essere specificatamente richiesta dal contribuente e che lo vincola per tutti i periodi d’imposta oggetto di collaborazione volontaria internazionale.
Un contribuente che ha commesso violazioni alla normativa sul monitoraggio fiscale e alla normativa italiana – cosiddetta evasione “interna” – può accedere a tutte e due le forme di voluntary disclosure?
Certamente. Nel caso in cui il contribuente acceda alla procedura di collaborazione volontaria per tutte le annualità, ma abbia commesso violazioni agli obblighi di monitoraggio fiscale soltanto per alcuni dei periodi d’imposta oggetto di emersione, in presenza di redditi “connessi” agli investimenti e alle attività di natura finanziaria illecitamente costituiti o detenuti all’estero, la fattispecie ricade nell’ambito dell’effetto “attrattivo” della collaborazione volontaria “internazionale”. Ma lo stesso potrà altresì avvalersi della procedura nazionale in relazione a tutti gli eventuali maggiori imponibili non connessi alle attività estere per i residui periodi d’imposta ancora accertabili.
Per il contribuente destinatario di un atto impositivo non c’è proprio nulla da fare per rientrare nelle opportunità offerte dalla voluntary disclosure?
Non è detto. L’accesso alla procedura non è precluso laddove l’attività di controllo si sia conclusa con un atto impositivo che sia stato definito o con uno di archiviazione dell’istruttoria, precedente alla data di presentazione della richiesta di accesso alla procedura. Inoltre, le cause di inammissibilità possono comunque essere rimosse attraverso gli istituti offerti dall’ordinamento tributario, quali il ravvedimento, l’adesione ai verbali di constatazione ai sensi dell’articolo 5-bis del decreto legislativo n. 218 del 1997 o gli altri strumenti di definizione della pretesa offerti dallo stesso decreto legislativo, nonché quelli deflattivi del contenzioso previsti dal decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 546.
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