In sostanza, l’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati ha detto sì alla proposta avanzata da alcuni parlamentari del Partito democratico per riattivare il contributo di solidarietà a carico degli ex deputati.
Come noto, infatti, quanti avevano prestato servizio alle Camere prima della riforma 2012, che ha abolito di fatto i vitalizi nella forma classica, godono tuttora di un generoso assegno imperituro anche per un solo giorno in emiciclo, spesso accumulato ad altre pensioni o indennizzi per cariche prestate nelle istituzioni.
L’approvazione di ieri a Montecitorio ha ristabilito a partire dal primo maggio il contributo di solidarietà scaduto a fine 2016 per questa categoria privilegiata, stabilendo una percentuale di restituzione pari al 10% al di là di 70mila euro annui, del 20% tra 80 e 90mila, del 30% entro i 100mila e del 40% per i vitalizi superiori. Il risparmio calcolato dovrebbe essere sui 2,5 milioni di euro l’anno. Briciole che, però, fanno sempre molto più rumore di tanti altri interventi.
Il provvedimento non intacca, dunque, l’entità degli assegni degli ex deputati, visto che la stessa Corte costituzionale si è già opposta in passato a una riforma in tal senso, parlando apertamente di “diritto acquisito” da parte dei parlamentari che furono, fotografando così una sorta di beneficio inalienabile.
Un solco, quello tra classe politica e comuni cittadini, che dunque rimane ampio, e comprende anche gli eletti in Parlamento dopo il 2013. Questi, infatti, benché esclusi dalla riforma del governo Monti da qualsiasi tipo di vitalizio vecchia maniera, il prossimo 15 settembre matureranno, ormai è certo, il diritto a una pensione calcolata con metodo contributivo ed erogata a partire dai 65 anni, 60 se completeranno anche la prossima legislatura.
Sebbene la legislazione negli ultimi anni abbia subito pesanti modifiche, insomma, rimane l’amaro in bocca a tanti cittadini che vedono nei loro rappresentanti ancora qualche disparità di troppo.
Così si spiega la furia del MoVimento 5 Stelle, che ha cavalcato l’onda attaccando duramente i rivali democratici, rei di aver lasciato inalterato il sistema attuale, con la previsione, seppure in età avanzata, di un assegno pensionistico dopo 4 anni e 6 mesi di servizio. Lo scontro politico è proseguito nei corridoi e fuori dalle aule di dibattito, con i grillini che avrebbero fatto “irruzione” all’interno dell’Ufficio di presidenza, obbligando Laura Boldrini a intervenire per sedare gli animi.
A onor del vero, i grillini avevano proposto una delibera per lo stop alle pensioni dei politici attualmente in servizio, che però è stata bocciata a vantaggio di quella Pd. Lo schema avanzato da Luigi Di Maio e soci eliminava il principio oggi vigente, senza però prevedere ritocchi ai vitalizi dei parlamentari di ieri. Con l’ok alla proposta del Partito democratico, insomma, si è ridotto in minima parte l’assegno agli anziani, ma il diritto alla pensione per gli ultimi eletti rimane inalterato e scatterà per tutti il 15 settembre 2017.
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