Violenza intrafamiliare: nel 2011 bilancio pessimo

Anche quest’anno e purtroppo anche sotto le feste natalizie, c’è stata la, ormai solita, strage intrafamiliare.

Le vittime, perlopiù mogli, qualche figlio, suocero, uccise o ferite a sangue freddo da mariti e compagni che sembrano improvvisamente e imprevedibilmente impazziti.

Al di la delle numerose analisi sia dei media che dell’accademia sul fenomeno, ciò che qui vogliamo osservare è che la violenza è anche frutto, paradossale, di quella rilevante trasformazione sociale che ha registrato la morte del Padre simbolico (ovvero del ruolo paterno e, più in generale, di un principio di autorevolezza, riconosciuto come tale, a cui sottomettersi).

Ed infatti quando manca il riconoscimento di figure capaci di consentire il confronto con la complessità del reale e l’accettazione dei limiti che ciò comporta per il soggetto, quando il discorso sociale tende ad emarginare, confondere e svilire i riferimenti simbolici, ad uccidere i Padri, sempre più carente appare la capacità di elaborare i conflitti e, grazie a tale elaborazione, di trattenere il gesto.

Non si può non rilevare come, nell’arco degli ultimi decenni, la società sia passata da un’organizzazione verticale, in cui era riconosciuta l’autorità e l’autorevolezza dei Padri simbolici (Dio, lo Stato, il re, il presidente … ) e della loro parola ad un’organizzazione orizzontale, un funzionamento collettivo che sembra volersi emancipare da ogni riferimento ad una posizione di autorità, in cui ogni asimmetria e ogni gerarchia appaiono incongrue: quello che fa legame non è un riferimento simbolico – il riferimento a una norma costituita che consenta di mediare tra posizioni diverse, garantendo un ambito all’interno del quale i conflitti, anziché esplodere, possano trovare una mediazione – ma piuttosto la convinzione (l’illusione) di potersi sottrarre ad ogni autorità in nome di una libertà individuale che non sopporta mediazioni né costrizioni e che, contestando ogni dissimmetria, sembra tesa a realizzare un progetto di società fatta di pari, di simili, di fratelli, fra i quali nessuna mediazione è più possibile e la conflittualità necessariamente esplode.

Ma proprio l’evitamento del confronto tra questi pari, evitamento sempre più diffuso nelle famiglie – meglio un diplomatico silenzio televisivo che una sana discussione – impedisce di elaborare adeguatamente l’aggressività, di interrogarsi sulle proprie (e altrui) pulsioni, di sperimentare tentativi di mediazione che consentano di mettere alla prova e di valutare adeguatamente le proprie (e altrui) reazioni, con il risultato che le emozioni, private del veicolo della parola, ricorrono al gesto spesso drammatico e definitivo, oltre a portare al suicidio per un insuccesso scolastico, a violentare le donne che “non ci stanno” (si ammazzano compagne di vita con cui non si è, spesso, avuto il coraggio di discutere, anche vivacemente, sui problemi e frustrazioni della coppia, senza passare all’atto), ecc. E’ così che l’incapacità di elaborare adeguatamente l’aggressività può esplodere a volte anche in gesti assurdi, completamente privi di senso in quanto non esiste alcun nesso tra l’azione e la sua motivazione (sono quelli che in genere i mezzi di comunicazione presentano come “senza movente”), gesti che sembrano semplicemente mirati a scaricare un’aggressività che non si è in grado di controllare o che addirittura non si percepisce come tale.

Confrontarsi quotidianamente, dire chiaramente dei no e dei si sia al proprio partner che ai figli è faticoso e volte sfibrante, specie dopo una lunga giornata di lavoro, ma la relazione si nutre anche di confronto e a volte di scontro, nel silenzio c’è solo l’indifferenza e a volte l’omicidio.

Auguriamo quindi a tutti un 2012 più ricco di confronti e anche, ove del caso, di scontri, ma molto più povero di violenza e di omicidi, specie tra membri della stessa famiglia.

 

Un ringraziamento particolare a Elena Sormano, psicologa e psicoterapeuta per l’associazione Sintonie -Prospettive interdisciplinari per la persona la famiglia ed i minori, i cui spunti di riflessione sono stati  preziosi.

Giulia Facchini

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