In questi termini si esprime la Corte dei Conti, sezione di controllo per la Puglia, con la delibera n. 124/2015/PAR, che prende le mosse dal quesito posto da un comune per sapere se sia possibile finanziare mediante l’accensione di un mutuo gli importi liquidati in sentenza a titolo di risarcimento dei danni subiti dal proprietario di un immobile, per l’appropriazione illegittima del bene stesso da parte dell’ente locale.
Nel descrivere la fattispecie il sindaco aggiunge, correttamente, che alla luce della convenzione da stipularsi per regolare i rapporti con il soggetto interessato, appare arduo sostenere che la sentenza di condanna in argomento produca anche un effetto traslativo della proprietà del bene in favore dell’amministrazione espropriante.
Tale rilievo non è di poco conto, dacché distingue e differenzia il caso de quo dal classico esempio di esproprio, inteso quale istituto giuridico grazie al quale la PA può acquisire con proprio provvedimento, per ragioni di pubblico interesse, la proprietà o un altro diritto reale su un determinato bene, indipendentemente dalla volontà del suo proprietario e previo pagamento di un indennizzo.
Nel trattare la questione, la Corte inquadra l’argomento nel contesto dei principi generali che regolano la materia, rammentando innanzitutto che, in base all’art. 119, ultimo comma, della Costituzione, è stabilito che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni possono ricorrere all’indebitamento soltanto per finanziare spese di investimento.
Per agevolare la definizione di tali spese e chiarire così la nozione di “investimento” desunta dai principi della scienza economica (non sempre facile, peraltro, da declinare in concreto), l’art. 3, comma 18, della legge 350/2003 individua un elenco delle spese di investimento avente carattere tassativo, che delinea i vari casi in cui dalla spesa pubblica assunta deriva un aumento di valore del patrimonio dell’ente, destinato a riflettersi non solo sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri, a giustificazione appunto del perdurare, nel corso del tempo, degli effetti dell’indebitamento.
Con particolare riguardo all’esproprio, l’analisi condotta dalla Sezione mette in luce un netto discrimine tra le spese finanziabili con mutuo rispetto alle altre, osservando che la fattispecie dell’investimento deve sempre intendersi circoscritta alle fisiologiche attività di acquisizione di aree che non comportino maggiori oneri.
A suffragio di tale argomentazione il collegio evoca la delibera n. 20/2007/PAR della Sezione di controllo per il Veneto, là dove si afferma che “la ragione per cui (…) la Cassa Depositi e prestiti esclude dalle spese finanziabili quelle di natura risarcitoria sta nel fatto che possono qualificarsi di investimento tutte e solo le spese che concorrono “fisiologicamente” a determinare il costo dell’opera, e non anche quelle che “patologicamente” si possono aggiungere in conseguenza di attività o comportamenti illeciti commessi dall’Amministrazione, da cui scaturisca l’obbligo di risarcimento del danno”.
Da tutto ciò si desume un’ulteriore conferma dell’interpretazione “stricto sensu” da assegnare alla nozione delle spese di investimento, la quale, in rapporto all’espropriazione di pubblica utilità, non può che essere riferita alle sole indennità dovute, con esclusione degli eventuali ulteriori oneri di altra natura, pur sempre a carico dell’ente.
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