Si torna dunque nuovamente a mettere mano sull’assetto amministrativo dello Stato, dopo la tanto frettolosa quanto pasticciata riforma del Titolo V operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha riscritto l’art 117 della Costituzione modificando la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni e affidando a queste ultime “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”; e dopo il fallimento dell’ampio tentativo di riforma costituzionale di evidente matrice leghista passato alla storia come “devolution” e sonoramente bocciato dal corpo elettorale nel referendum del giugno 2006.
Il ddl di nuova approvazione modifica sette articoli della Costituzione: 114,117,118, 119, 120, 132, 133.
Si trasferiscono alle Regioni le materie di competenza oggi provinciale e si sostituiscono le Province con nuove entità intermedie, le “Città metropolitane”, inclusi gli enti provinciali delle Regioni a Statuto speciale e con l’eccezione delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Viene ampliata così la competenza legislativa regionale, nell’ottica di un’evoluzione che ormai sembra irrefrenabile verso uno Stato di natura federale.
Palese la ratio della riforma: “Dall’attuazione della presente legge costituzionale – si legge – deve derivare in ogni Regione una riduzione dei costi complessivi degli organi politici ed amministrativi”.
E’ stato previsto anche, con altro disegno di legge, l’introduzione espressa nella carta costituzionale del principio del pareggio di bilancio.
Durissimo l’iter parlamentare che attende i nuovi ddl costituzionali: doppio passaggio parlamentare in ciascuna Camera, con intervallo non minore di tre mesi e maggioranza assoluta in ciascuna Camera nella seconda votazione, per non parlare dell’incognita referendum, secondo quanto prescritto dall’art. 138 Costituzione.
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