Esiste una questione terminologica?
Non esiste in letteratura una chiara definizione, coerente e senza ambiguità riguardo al concetto di minore abbandonato. Ad affermarlo sono stati gli studiosi Mueller & Sherr (2009), richiamati nella poderosa ricerca “Child Abandonment and its Prevention in Europe” condotta nel 2012 dell’Università di Nottingham (UK).
Si tratta di una categoria, quella dei bambini abbandonati, che comprende varie sfumature: orfani, bambini in cura infantile presso le istituzioni, i profughi, le vittime della guerra, le prostitute infantili, i bambini rinunciati all’adozione e i bambini lasciati dai loro genitori (Panter-Brick & Smith, 2000).
Da un campione di 10 paesi dell’UE (Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Ungheria, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Regno Unito), oggetto dell’indagine, emerge che solo la Polonia ha una chiara definizione legale dell’abbandono dei bambini.
Nel manuale “Child Abandonment and its Prevention in Europe” si adottano, sostanzialmente, due definizioni di bambino abbandonato: l’abbandono aperto (open abandonment) e l’abbandono segreto (secret abandonment). Il primo è definito come l’abbandono di un bambino in maniera consapevole da parte di uno dei suoi genitori che può essere identificato e la cui intenzione è quella di non ritornare sui suoi passi volendo, di buon grado, rinunciare alla responsabilità genitoriale. Per abbandono segreto si intende, invece, l’abbandono di un bambino in maniera segreta da parte di uno dei suoi genitori che non può essere identificato e la cui intenzione è quella di non ritornare sui suoi passi volendo, segretamente, rinunciare alla responsabilità genitoriale.
Fatta questa premessa, risulta ancor più evidente la mancanza di una chiara definizione terminologica anche nel «Bel paese là dove ’l sí suona». La scelta del legislatore è stata quella di “non definire in maniera precisa e circostanziata quale sia la condizione del minore che si trova in uno stato di abbandono; egli ha preferito adottare una clausola generale che lasci al giudice e all’interprete una valutazione più adatta alle diverse realtà e alle condizioni personali, sociali e ambientali del singolo caso che a loro si presenta” (tratto da: Nozione giuridica di abbandono e procedimento per la dichiarazione di adottabilità, Nozione di Abbandono – 3.1. Premessa).
È opportuna a questo punto una riflessione: perché, allora, non si è proceduto e non si procede alla codificazione della definizione di abbandono, contemplando specifiche ipotesi, come da molte parti già da tempo si invoca? Si può, allora, continuare a parlare di un generico ed hegelianamente “indistinto” abbandono di minori (tanto da parte dei docenti tanto dei genitori) se un alunno torna a casa da solo?
Una novità nel panorama normativo italiano: la proposta di legge Malpezzi
Dopo le innumerevoli agitazioni che la sentenza della Suprema Corte ha innescato nel Paese, sia tra le scuole che tra i genitori (costretti a ritirare i propri figli all’uscita dalla scuola secondaria di 1° grado), e a seguito di una petizione diretta al Presidente del Consiglio dei Ministri, dal titolo “Bambini autonomi o abbandono di minore?”, ad intervenire su quello che rappresenta un vero e proprio busillis è stata in questi ultimi giorni la deputata Malpezzi, membro della VII Commissione Cultura alla Camera e responsabile scuola del PD, presentando una proposta di legge e la relativa relazione tecnica (forse contraddicendo di fatto quanto precedentemente affermato dalla ministra Fedeli) finalizzata a consentire l’uscita autonoma dei minori “fino a 14 anni”, dai locali scolastici ed esonerando il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza. Una norma, quindi, che consente ai genitori e ai tutori dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di autoresponsabilizzazione, di autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione all’uscita autonoma dei minori dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni.
Insomma, siamo di fronte ad un testo che se approvato (probabilmente per metà novembre come emendamento o alla Legge di bilancio al Senato o al Decreto fiscale alla Camera, una volta ottenuta la dichiarazione di ammissibilità in una delle due commissioni) colmerà probabilmente uno storico vuoto normativo, ma non per questo privo di qualche incognita, quale la responsabilità relativa ai minori dai 14 ai 18 anni e, soprattutto, come nel futuro questa norma affronterà il vaglio della giurisprudenza penale, essendo ancora in vigore l’art. 591 del codice penale che prevede espressamente l’abbandono di minori sino a 14 anni.
Molto più cauta è, invece, l’Avvocatura dello Stato del Friuli Venezia Giulia secondo la quale “non esistono formule sacramentali e taumaturgiche idonee a esentare l’amministrazione da sempre possibili azioni di responsabilità”. Nel parere della suddetta Avvocatura, emanato del 29 ottobre scorso, si afferma, tra l’altro, che la sicurezza dei minori non é un bene giuridicamente disponibile, nemmeno da parte dei genitori, cosicché eventuali “liberatorie” eventualmente rilasciate dagli stessi non avrebbero efficacia sicuramente scriminante” in quanto “l’obbligo di vigilanza sugli alunni ha carattere relativo e non assoluto essendo condizionato da una serie di fattori, quale l’età, la salute, la maturazione psico-fisica e il contesto sociale”.
Per quanto attiene, invece, alla regolamentazione interna alle istituzioni scolastiche autonome (che non può in alcun modo costituire deroga a norme di legge di rango sovraordinato, e in quanto tale può essere può pacificamente disattesa dall’autorità giudiziaria), l’Avvocatura dello Stato friuliana afferma, inoltre, che “un eventuale regolamento in materia dovrebbe quanto meno prevedere un’autonoma valutazione del grado di maturazione psico-fisica del singolo alunno da parte del corpo docente, valutazione che deve essere necessariamente condivisa dalla famiglia, in relazione al percorso scuola-abitazione la scuola dovrebbe inoltre effettuare una specifica istruttoria presso la Polizia Municipale e autorità di Pubblica Sicurezza allo scopo di acquisire elementi circa la specificità del contesto territoriale di ubicazione dell’istituto”.
Si tratta di fattori e di elementi, evidentemente, che non possono essere stabiliti a priori e per tutti, ma caso per caso, a seconda delle peculiarità che emergono da ogni alunno e ciò riporta in mente la frase di Rousseau che conserva intatta tutta la sua validità: “cominciate dunque col conoscere i vostri allievi perché sicuramente non li conoscete affatto”.
Leggi la prima parte dell’ Articolo di Angelo Prontera
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