Due sono le paure: da una parte, un vero e proprio tilt dei sistemi informatici e, dall’altra, l’esplosione in extremis di un nuovo scandalo, senza tempo a disposizione per conferme o smentite, ma potenzialmente in grado di capovolgere il voto. Mai come questa volta la democrazia pare davvero appesa a un filo, quello attraverso cui viaggeranno i dati martedì sera, alla chiusura delle urne.
Entrambe queste possibilità vengono ritenute verosimili dall’intelligence americana, anche alla luce dei recenti avvenimenti che hanno inciso non poco sulla campagna elettorale.
Wikileaks e Putin
Tutti i big del partito democratico, da Barack Obama a Hillary Clinton, non hanno fatto mistero di ritenere responsabili hacker russi, forse collusi con il governo di Mosca, per le continue fughe di documenti e conversazioni ritenute riservate. La più recente, ha visto la rivelazione di migliaia di email dal server di John Podesta, presidente della campagna della stessa Clinton, foriere, comunque, di notizie non certo epocali, ad esempio circa i compensi percepiti dall’ex firsti lady nel 2012 per alcune riunioni a Wall Street.
A ospitare il rilascio di questi enormi quantitativi di documenti, è il noto portale Wikileaks, impegnato nella divulgazione di file top secret e per una maggiore trasparenza nelle istituzioni. Ma è un fatto che tra il sito di Julian Assange e Hillary Clinton i rapporti siano a dir poco pessimi. Stiamo assistendo, in queste settimane, all’apice di uno scontro in atto dal 2010, quando l’organizzazione di hacker pubblicò migliaia di documenti classificati, alcuni dei quali inerenti le posizioni della diplomazia americana sulle primavere arabe e la guerra in Libia. Uno shock per la comunità internazionale, che la stessa Clinton, ancora a capo della politica estera USA, non esitò a definire “un attacco”. Del resto, le istituzioni americane non fanno mistero di ritenere Wikileaks al pari di un’organizzazione terroristica e lo dimostra il mandato che pende sul capo di Assange, rintanato dal 2012 nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire alla cattura.
Indubbiamente, in questi anni le posizioni del giornalista non si devono essere ammorbidite nei confronti dell’establishment americano e in particolare della stessa Clinton, che di quel sistema è una dei principali esponenti. L’azione di hacking alle email di John Podesta – di interesse piuttosto relativo – è solo l’ultimo atto di una guerra sotterranea, che viaggia sui cavi della rete internet. La scorsa primavera, ad esempio, sempre Wikileaks ha inaugurato una sezione del proprio sito per orientarsi tra le oltre 50mila pagine di email che hanno imbarazzato la Clinton nei mesi delle primarie, prima di vedere il caso chiuso in estate dall’FBI e, chissà, forse riaperto entro breve.
Nel corso di uno dei faccia a faccia con Donald Trump, la candidata dem è tornata sulle possibili interferenze in vista del voto, accusando apertamente il Cremlino della regia dietro le fughe di documenti poi pubblicati su Wikileaks. Analisi che difetta di prove schiaccianti, ma trova un appoggio importante nell’inchiesta del New York Times in cui è emerso come il gioco di Assange favorisca indirettamente gli interessi dei russi. Un ruolo, quello di Mosca, da tempo al centro di questa spy story telematica: non va dimenticato, infatti, che proprio lì ha trovato asilo un altro protagonista di questa vicenda, quel Edward Snowden che ha contribuito più di ogni altro a rivelare lo scandalo delle intercettazioni NSA.
Ora, è lo stesso Assange a rilasciare un’intervista esclusiva – evento piuttosto raro – al network di Russia Today, guarda caso in mano a Putin. Il giornalista torna a colpire duramente la Clinton, accusandola, senza giri di parole, di essere “finanziata dallo stesso denaro che finanzia l’Isis”. In particolare, il giornalista-hacker si riferisce ai dollari che, negli anni da Segretario di Stato, avrebbe incassato la Clinton Foundation da parte dell’Arabia Saudita.
Cosa rischia l’America
Nelle scorse settimane, varie analisi sono state svolte dagli esperti di Washington, D.C. sulla tenuta del sistema di flusso dei voti e le protezioni danno ancora sufficienti garanzie. Ma le autorità rimangono vigili e il livello di rischio sul cyberspazio è ritenuto alto, soprattutto se dovessero spargersi notizie non confermare a poche ore dal voto.
Per contro, l’ex paladino di libera informazione e trasparenza Assange si sta rivelando come il miglior alleato per Donald Trump e, di riflesso, una leva più o meno inconsapevole nelle mani di Vladimir Putin, non certo un paladino di democrazia come la missione originaria di Wikileaks farebbe auspicare. Replicando ai giornalisti del NY Times, sulle ragioni che spingono la sua organizzazione a non contestare la Russia come altri Paesi in cui le libertà fondamentali sono limitate, Assange ha notato: “Criticarla è noioso, lo fanno tutti”.
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