Un semipresidenzialismo per l’Italia?

Da cinquant’anni la politica italiana si interroga sulle virtù e sui vizi della forma di Governo semipresidenziale, propria della attuale quinta Repubblica francese.

Recentemente il Pdl è tornato sulla proposta di una riforma costituzionale in senso semipresidenziale con la possibilità di adottare anche in Italia “la formula francese”; in data 06 giugno 2012 venivano presentate cinque proposte emendative al Testo unificato di riforma della Parte II della Costituzione in discussione al Senato della Repubblica tra le quali l’elezione a suffragio universale e diretto, con doppio turno elettorale, del Presidente della Repubblica.

In un articolo scritto da uno dei massimi costituzionalisti italiani del secolo scorso, Costantino Mortati, dal titolo Gli equivoci ed i rischi della Costituzione francese, lo studioso concludeva che, per il nostro Paese, la Carta del 1958 “non consentiva alcun elemento volto ad aprire prospettive per l’avvenire”. Sulla stessa linea anche il giudizio di altri autorevoli costituzionalisti che nutrivano forte preoccupazione sia per la funzionalità di quel sistema di governo, sia in ordine alla sua democraticità.

Benché la nascita della quinta Repubblica francese si inserisca in un contesto storico ben preciso – la crisi algerina –, è indubbio che il sistema di governo adottato si contraddistingue per una intrinseca ambiguità ed imprevedibilità dove, non essendo stato abolito il rapporto fiduciario tra il Parlamento ed il Governo con a capo il Primo Ministro, i poteri concretamente esercitabili dal Presidente della Repubblica sono più o meno estesi a seconda che la maggioranza parlamentare coincida o meno con la coalizione politica di cui fa parte.

In Italia, un sistema di questo tipo comporterebbe più ombre che luci. In primo luogo, è evidente che, in un ordinamento come il nostro – dove il Capo dello Stato è costituzionalmente inteso non come organo politico, ma di garanzia dell’ordine costituzionale – il pericolo di un contrasto tra Primo Ministro e Presidente, con inevitabili ripercussioni sul piano della stabilità della compagine governativa, diverrebbe molto più forte, soprattutto in assenza di efficaci contrappesi istituzionali.

In secondo luogo lo squilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo che si verrebbe a creare, coniugato ad un sistema di partiti frammentato e debole, comporterebbe il rischio di riduzione ulteriore della rappresentatività democratica.

Il problema, allora, come ha indicato il giurista francese Maurice Duverger, «non è l’avere un Presidente eletto, ma assicurarsi un Esecutivo che funzioni e che, quindi, esprima un leader autorevole».

Daniele Trabucco

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