Ai comuni è riconosciuto il 50 per cento (100 per cento per il triennio 2012-2014) delle maggiori somme accertate e riscosse, a seguito di segnalazioni qualificate di elementi evasivi ed elusivi.
L’incentivo è consistente ma i risultati, finora, non sono stati esaltanti.
Con la solita eccezione dell’Emilia Romagna, dove nel 2012, ci siano state 16.000 segnalazioni da parte dei comuni, di cui 1.251 partite da quello da Bologna e 1.069 da quello di Rimini.
Spunti investigativi che hanno portato l’Agenzia delle entrate, a maggio 2012, a poter contare su una maggiore imposta accertata pari a 28,7 milioni di euro.
Alla città delle due torri, l’ultima settimana di ottobre 2012, dal Ministero dell’Interno sono arrivati i 362.000 euro del “premio” per le segnalazioni qualificate effettuate nel 2011, ha inviato all’Agenzia delle entrate.
Bologna si è classificata al primo posto tra i capoluoghi di provincia d’Italia, seguita da Genova e Torino.
Il comune più virtuoso nel 2011 è stato Maranello, patria della Ferrari in provincia di Modena, dove si è registrato il premio record da parte del Viminale: 399.000 euro, cifra che per la cittadina di 17.000 abitanti, ha un peso pari alle tariffe per l’asilo nido o a tre volte il gettito annuo dell’imposta sulla pubblicità.
L’istituto della partecipazione dei comuni al procedimento di accertamento nasce nel 1973 con l’obiettivo di perseguire, attraverso la repressione dell’evasione, gli obiettivi di perequazione e di giustizia fiscale posti a base del dettato costituzionale. In passato la possibilità per i comuni di incrementare gli elementi di accertamento in possesso dell’Amministrazione finanziaria, con ulteriori dati e notizie sui contribuenti residenti nel proprio territorio, è stata poco praticata, così divenendo oggetto di tacita disapplicazione anche da parte degli uffici finanziari.
Già l’articolo 44 del D.P.R. 600 del 1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) prevedeva che i comuni partecipassero all’accertamento dei redditi delle persone fisiche.
La quota premiale assegnata ai Comuni era stata, in sede di prima applicazione, stabilita nella misura del 30% delle maggiori somme concernenti i tributi riscossi in via definitiva, nel 2010 è stata elevata al 33%, per raggiungere, poi, il 50% nel 2011, anche relativamente alle somme non definitivamente riscosse.
Questo vale per tutti i comuni, ma non per quelli siciliani. In Sicilia si è posto il problema dell’effettiva disponibilità dello Stato rispetto alle entrate erariali riscosse nel territorio dell’Isola, alla luce delle previsioni dello Statuto.
In effetti, lo Stato non può decidere in merito a detti introiti fiscali, poiché ciò sarebbe in contrasto con le norme statutarie ed in particolare con l’art. 36, primo comma (“Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima”) e l’art.2, primo comma, delle norme di attuazione in materia finanziaria.
Alla Regione siciliana spettano, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime.
La Corte Costituzionale (sentenza n. 152/2011), esaminando le disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, ha sancito l’illegittimità della legge nella parte in cui stabiliva che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d’imposta fossero riversate all’entrata del bilancio dello Stato e restassero acquisite all’erario, anche con riferimento a crediti d’imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana.
La stessa Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 241 /2012 (depositata il 31 ottobre scorso) ha bocciato la riserva del 100% del gettito in favore dello Stato previsto dalla “manovra-bis”, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, commi 5-bis e 5-ter del dl n. 138/2011, con riferimento alla regione siciliana. Si tratta del recupero delle somme derivanti dai condoni ex lege n. 289/2002 e delle relative sanzioni per le somme non pagate.
La Regione siciliana ha denunciato alla Consulta il contrasto di tali norme con l’articolo 36 dello statuto speciale e con l’articolo 2 del d P.R. n. 1074/1965.
Affinché venga meno la compartecipazione della Regione Sicilia, sono fissate tre condizioni: il carattere tributario dell’entrata erariale, la sua “novità” e la specificità di destinazione del gettito. Secondo la Corte costituzionale, nel caso delle somme del condono ricorre solo la prima. Non vi sono i presupposti, quindi, per derogare alla regola ordinaria.
Le somme riscosse con la partecipazione dei Comuni alla lotta all’evasione, non avrebbe il requisito della “novità” ma avrebbe quello della destinazione del gettito, prevista da un’apposita legge, ma a vantaggio degli Enti Locali e non dello Stato.
Per questo, in Sicilia, si è reso necessario un apposito intervento legislativo, che ha fatto seguito ad un accordo siglato tra Anci Sicilia, Agenzia delle entrate e Regione.
La L.r. n. 26 del 9 maggio 2012, art. 8, comma 13, ha previsto che l’incentivo ai comuni può essere concesso solo nella misura del 33% delle maggiori somme definitivamente riscosse.
Questo ha sicuramente rallentato il coinvolgimento dei comuni siciliani. Al patto anti-evasione, proposto dall’Agenzia delle entrate, hanno, finora, aderito 82 enti su 390. Dal 2008 al 2013 sono state effettuate 1.503 segnalazioni, con un maggiore imponibile di € 1.884.501, con una maggiore imposta accertata di € 509.471 e definita di € 191.660.
Le segnalazioni hanno avuto come ambito quasi esclusivamente le proprietà edilizie ed il patrimonio immobiliare (98,70%).
La maggiore imposta accertata, divisa per ambiti, ha portato a recuperare € 18.116 (3,56%) di imposta evasa sulla base di segnalazioni indicanti capacità contributiva, € 134.555 (26,43%) per le segnalazioni nel settore del commercio e delle professioni, € 83.750 (16,45%) per segnalazioni nel settore dell’urbanistica e del territorio, € 272.615 (53,56%) per segnalazioni di proprietà edilizie e del patrimonio immobiliare.
La Regione siciliana, l’Agenzia delle entrate ed Anci Sicilia si sono impegnati a promuovere presso i comuni siciliani soluzioni finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo di lotta all’evasione e nei processi relativi, individuando le modalità, gli strumenti e le soluzioni atti a favorire, nel più breve tempo possibile, la concreta partecipazione dei comuni all’attività di accertamento.
Il protocollo d’intesa attribuisce ad un gruppo di lavoro il compito di definire una check list di fatti, elementi ed informazioni che possano servire a fornire una segnalazione qualificata, direttamente utilizzabile per evidenziare comportamenti evasivi o elusivi di tributi erariali.
Anci Sicilia ha, comunque, chiesto l’adeguamento degli incentivi a favore dei comuni, prevedendo le stesse misure previste nel resto d’Italia.
L’Ufficio Formazione Comunicazione e Sviluppo della Direzione regionale della Sicilia organizzerà, con propri formatori e con esperti dell’Anci Sicilia, corsi rivolti ai dipendenti dei Comuni, da tenersi su base provinciale o interprovinciale.
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