Proprio oggi si è appreso che il relatore delle Nazioni Unite per la libertà di manifestazione del pensiero Frank La Rue ha inviato una lettera al sottosegretario del Ministro degli esteri, invocando trasparenza, pluralismo e selettività nell’imminente nomina dei nuovi membri dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Ma davvero queste nomine sono da considerarsi, come dicono, “fatti privati” tra Governo e Parlamento ed esulano da qualsiasi coinvolgimento della società civile nonché da qualsiasi procedura di selettività o di meritocrazia? Davvero il cittadino, su cui ricadono concretamente gli effetti del lavoro che andranno a svolgere i membri dell’Agcom, non riescono nemmeno a farsi un’idea, non solo di chi siano i candidati alla carica, ma anche di quanto siano capaci o competenti, magari accedendo al curriculum dell’interessato?
A leggere la normativa di settore, sembra proprio di si.
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, istituita con legge 31 luglio 1997, n. 249, è un organo collegiale composto dal Presidente, dalla Commissione per le infrastrutture e le reti, dalla Commissione per i servizi e i prodotti e dal Consiglio. Ai sensi dell’art. 3 della suddetta legge, ciascuna commissione, a sua volta, è organo collegiale, costituito dal Presidente e da quattro commissari; il Consiglio è costituito dal presidente e da tutti i commissari. L’art. 23, comma 1, del decreto legge n. 201/2011, convertito, con modifiche, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha però ridotto i componenti dell’Autorità da otto a quattro escluso il Presidente (sul punto, si legga l’arguta riflessione del vicedirettore di LeggiOggi Guido Scorza).
Questa, in sintesi, la procedura di nomina:
Il Presidente è nominato con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio d’intesa con il Ministro delle Comunicazioni. La designazione del nominativo del Presidente è previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari (v. art. 2, legge 481/1995).
Il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati eleggono quattro commissari ciascuno (adesso due ciascuno, dopo la novella introdotta dal decreto “salva Italia”) i quali vengono nominati con Decreto del Presidente della Repubblica. Ciascun senatore e ciascun deputato esprime il voto indicando due nominativi, uno per la commissione per le infrastrutture e le reti, l’altro per la commissione per i servizi e i prodotti. In caso di morte, di dimissioni o di impedimento di un commissario, la Camera competente procede all’elezione di un nuovo commissario che resta in carica fino alla scadenza ordinaria del mandato dei componenti l’Autorità.
Requisiti di nomina: i componenti dell’Autorità sono scelti tra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore.
Durata del mandato: sette anni senza possibilità di riconferma.
Tuttavia al commissario che subentri quando mancano meno di tre anni alla scadenza ordinaria del mandato non si applica il suddetto divieto di riconferma (v. art. 3, legge 249/1997)
Incompatibilità: a pena di decadenza i componenti dell’Autorità non possono esercitare, direttamente o indirettamente, alcuna attività professionale o di consulenza, essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, compresi gli incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici, né avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore di competenza della medesima Autorità. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati fuori ruolo per l’intera durata dell’incarico.
Cessato l’incarico, almeno per i successivi quattro anni non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza (v. art. 2, commi 8 e 9, legge 481/1995)
Effettivamente i criteri di trasparenza e merito, in questa procedura di nomina, lasciano alquanto perplessi.
Facendo una riflessione più giuridica, non può tuttavia esimersi dal richiamare una recente ordinanza del Consiglio di Stato (5144/2011) e una sentenza del Tar Lazio (2223/2012) su una vicenda piuttosto simile, ovvero la procedura di nomina dei membri dell’Agenzia per la Regolamentazione del settore postale.
Nella pronuncia il massimo organo della giustizia amministrativa afferma che “l’amplia discrezionalità nell’individuazione dei componenti “de quibus”( che pure deve essere riconosciuta alla P.A.) non può risolversi in un arbitrio che prescinda dalla dimostrazione della sussistenza, in concreto, dei requisiti normativamente richiesti per l’incarico in testa ai soggetti designati”. Ma non solo. Lasciando trapelare uno spiraglio circa l’impugnabilità di simile nomine, il Consiglio di Stato afferma anche che “i pareri delle commissioni parlamentari non importato espressione diretta di autonomia politica, ma concernono comunque generici apprezzamenti di non contrarietà sull’azione della P.A. e, come tali, inserendosi nell’ambito e con le regole tipiche di un procedimento amministrativo, rivestono carattere sostanzialmente amministrativo”.
Nell’ancora più recente pronuncia del Tar Lazio, sempre sul procedimento di nomina dei componenti del Collegio dell’Agenzia del Settore Postale, il giudice amministrativo osserva come “Per la designazione dei componenti del Collegio la disciplina in commento prefigurava quindi un procedimento articolato e scansionato che imponeva all’organo proponente la scelta di soggetti che risultassero in possesso “di un’alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”; la norma era dunque teleologicamente preordinata a vincolare e limitare la scelta in questione a soggetti reputati in possesso delle prescritte qualità di professionalità e competenza nel settore, in quanto intese come requisiti basilari per la nomina stessa”. Premesso ciò, il Tar si mostra dell’opinione che “la nomina in questione, riguardata sia nei singoli atti che nell’intero procedimento, come pure in relazione al provvedimento finale, non possa considerarsi alla stregua di un atto politico sottratto al sindacato giurisdizionale”.
Per gli atti di nomina alle cariche dirigenziali dell’Amministrazione dello Stato o alle alte cariche pubbliche, il Tar afferma dunque che “sulla scorta di un’attenta e seria valutazione del possesso dei prescritti requisiti in capo al designando, la scelta cade sul soggetto ritenuto più adatto a ricoprire una certa carica in vista del rispetto di obiettivi essenzialmente programmatici; la giurisprudenza colloca tali atti nel novero degli atti di alta amministrazione”.
Infine i giudici amministrativi puntualizzano un aspetto essenziale del procedimento di nomina, che assume particolare significato anche nella vicenda Agcom in oggetto. “Per ciò che specificamente attiene ai singoli atti del procedimento di nomina, non sembra inutile aggiungere che la proposta di nomina, rappresentando l’atto di impulso del procedimento in grado di conformare il contenuto della designazione da effettuarsi dal Governo e da formalizzarsi con decreto presidenziale, e quindi di condizionare l’esito dell’intero iter procedimentale, è l’atto in cui si manifesta la scelta, in base al verificato possesso dei requisiti di legge, del soggetto ritenuto più adatto a ricoprire quella carica in vista del rispetto degli obiettivi programmatici posti nella disciplina, e pertanto detta proposta non è espressione di un’attività libera nei fini ma di una attività di alta amministrazione, e dunque soggiace alla disciplina generale degli atti amministrativi”.Il Tar richiama ancora una pronuncia del Consiglio di Stato (2706/2005) nella quale si afferma chiaramente che “Se pure, in linea generale, le designazioni degli organi di vertice delle amministrazioni si configurano come provvedimenti da adottare in base a criteri eminentemente fiduciari, riconducibili nell’ambito degli atti di “alta amministrazione”, in quanto sono espressione della potestà di indirizzo e di governo delle autorità preposte alle amministrazioni stesse; si deve osservare nondimeno che il singolo provvedimento di nomina deve esporre le ragioni che hanno condotto alla nomina di uno di essi, comportando una scelta nell’ambito di una categoria di determinati soggetti in possesso di titoli specifici”.
Dunque non solo trasparenza, non solo selettività, ma anche obbligo di motivazione.
Pertanto, conclude il Tar Lazio, “nel caso in esame l’obbligo motivazionale si imponesse con maggior rigore, dovendo la motivazione assolvere all’obbligo di rendere comunque trasparente ed imparziale la scelta posta in essere dalla P.A., trattandosi di nomina non preceduta da una qualche procedura selettiva introdotta da un bando di partecipazione che provvedesse a specificare criteri e requisiti astrattamente predeterminati dalla legge”.
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