Nella storia pluridecennale del Quirinale italiano, il volto presidenziale più votato risulta quello di Alessandro Pertini, eletto il 6 luglio 1978 con l’83,6% dei consensi (832 voti ottenuti su 995). Lo scrutinio con memoria più lunga, è dato invece dallo spoglio effettuato nel 1971, alla vigilia di Natale, che ha portato alla Presidenza della Repubblica Giovanni Leone soltanto dopo la consultazione di ben 23 votazioni. Gli esiti elettivi di contro più celeri, designati tutti dopo l’unico, primo scrutinio, che si possono rammentare in sessantasei anni di storia repubblicana riguardano rispettivamente la nomina di Enrico De Nicola, il primo Capo di Stato italiano coprente l’incarico dal 1^ luglio 1946 al 12 maggio 1948; l’elezione di Francesco Cossiga nel luglio 1985; ed infine quella di Carlo Azelio Ciampi, la più recente tra quelle menzionate, avvenuta il 18 maggio 1999.
Fino ad oggi, nel Bel Paese, sono saliti al Colle undici Presidenti. Tanti i nomi illustri rappresentati, diversi però anche i profili altrettanto autorevoli declinati dall’alto incarico: De Gasperi, Moro, Fanfani, tutti uomini di stimata esperienza politica mai ascesi al Palazzo del Quirinale. Il primo Presidente a dimettersi anticipatamente dall’ufficio è stato Antonio Segni, il quarto Capo di Stato italiano incaricato l’11 maggio 1962. Successivamente anche Giovanni Leone e Francesco Cossiga hanno interrotto in tono polemico il mandato, pochi mesi in anticipo rispetto al termine ufficiale, per via di scontri e disaccordi fuori e dentro il Parlamento.
Il successore al Colle di Segni è stato Giuseppe Saragat (29 dicembre 1964). “Solo la crisi, vera, della Dc aprì una strada a Saragat e Pertini”, commenta l’elezione di allora Rino Formica, membro di rilievo del Partito Socialista Italiano durante la segreteria di Bettino Craxi, schiudendo dunque un varco per il primo capo di Stato italiano di orientamento socialista. Nel 1971 con la stabilizzazione degli equilibri partitici tra le correnti della Democrazia cristiana, è stato eletto Leone, un Presidente “debole” perché blindato dalla maggioranza di governo e dal sostegno del Msi. Gli ultimi anni del settennato Leone sono quelli del rapimento di Aldo Moro e del, consecutivo, definitivo sgretolamento della compattezza della Dc.
E’ da questo deflagrante scenario che nel 1978 scaturisce un mandato presidenziale nuovo, di pulizia concorde, che ha come protagonista appunto Alessandro Pertini, già delegato alla presidenza della Camera dei deputati dal 1968 al 1976. Una delle poche voci che si sono alzate contro la nomina di Pertini è stata quella del segretario socialista Craxi, il quale accusava il neo eletto Presidente di essere eccessivamente vicino al Pci, il Partito Comunista italiano. Craxi appoggiava al contrario i nomi di Giuliano Vassalli e di Antonio Giolitti, entrambe però sbarrati dallo stesso segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer.
All’interno del vento di crisi di fine anni settanta che si è abbattuto sulla repubblica italiana, la presidenza di Sandro Pertini è riuscita ad assurgere a punto di riferimento trasversale, offrendo l’input per un reale rinnovamento nell’assetto politico nazionale. Sarà infatti proprio lo stesso Pertini a nominare a Palazzo Chigi, per la prima volta senza la presenza ‘ingombrante’ della Dc, prima Giovanni Spadolini e poi lo stesso Bettino Craxi. Dopo la contestata presidenza Cossiga, l’itinerario elettivo per il Colle è sembrato bloccato ad uno stallo: in vista del nono incarico presidenziale, fermi al 15esimo scrutinio non si era ancora giunti ad un nome concorde, lo scontro che vedeva opposti Andreotti da un lato e Forlani dall’altro continuava ad acutizzarsi, e la strage di Capaci del 23 maggio 1992 è concorsa ad imporre alla politica un’urgente, necessaria, stabilità. E’ stato Marco Pannella il primo ad alzare la mano per la designazione di Oscar Luigi Scalfaro, che sostenuto da Forlani e Craxi e poi appoggiato anche da Achille Ochetto del Psi, fu eletto con il 66,3% dei voti al 16esimo spoglio.
E’solo, tuttavia, con lo scandalo di Tangentopoli, un sistema corruttivo di concussione e finanziamento illecito ai partiti, che negli anni Novanta si verifica il pressochè integrale riassestamento dei più alti gradini del mondo politico e finanziario nazionale. In questo scenario deludente per gli esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni nostrane, il ruolo del Presidente della repubblica è assurto a potere centrale, non di mera facciata, spogliandosi dei simbolismi e sobbarcandosi gli oneri e gli onori di una funzione sempre più forte e risolutiva. “E’ qui che assistiamo ad una mutazione genetica della Presidenza -constata Paolo Cirino Pomicino, vecchio esponente della Democrazia cristiana- potere forte contro partiti sempre più fragili”.
Il denominatore comune sottostante la triade Scalfaro-Ciampi-Napolitano è infatti, alla luce degli antefatti storici, interpretabile in termini di estensivo interventismo, in virtù anche della recente apertura europea. Dopo Carlo Azelio Ciampi, ricordato come il primo Capo di Stato dell’Italia bipolare, designato nel 1999, al primo scrutinio con il 70% dei consensi, da Veltroni e Berlusconi, la presidenza della Repubblica assume sempre più palesemente una responsabilità essenziale. E la rilevanza, nazionale ed internazionale, ricoperta dal Presidente ha trovato piena legittimazione nell’uscente Giorgio Napolitano. L’undicesimo settennato, inaugurato il 15 maggio 2006, quest’anno volge al termine; già si parla di toto-Presidente e già si stilano contrattazioni sul possibile successore. L’unica cosa certa, però, rimane la costatazione che, mai come ora, in piena crisi politica e sociale, il nostro Paese deve esigere un Capo di Stato capace di tenere alto il profilo di guida e prima rappresentanza dell’intera popolazione.
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