Si spiega in tal modo l’attesa emanazione del Motu proprio papale che (se effettivamente ci sarà), cambierà per la prima volta nella storia i dettami regolativi del Conclave a sei giorni dal suo inizio. Il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha ammesso di non essere a conoscenza delle modifiche, eventuali, che l’atto potrebbe apportare alle norme che regolano il tempo intercorrente tra l’avvio della sede vacante e l’inizio dell’elezione pontificia. Tanto meno ne sanno i cardinali elettori. E’ segno evidente che l’aggiunta di qualche ora alle congregazioni generali non influisca sull’esito del Conclave. Cosa certa è che la pubblicazione del Motu proprio di Benedetto XVI, che resta attesa per oggi, risponde alla necessità di supplire ai vuoti giuridici e così spiegare un punto focale: sarà concessa ai cardinali la possibilità di anticipare l’ingresso nella Sistina alla prima metà di marzo, con molte probabilità nei giorni 10 o 11.
Il testo sembra attendere soltanto la riconversione latina, avrà forma breve e concisa. “In futuro si potranno e dovranno prevedere integrazioni alla Costituzione, precisamente per il caso di dimissioni del Papa”, specifica il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del pontificio Consiglio per i testi legislativi. Il tempo, tuttavia, mai è sembrato tanto tiranno: alle ore 20 del 28 febbraio prossimo, Papa Ratzinger sarà ‘liberato’ dal titolo e fino ad allora sarà soltanto lui, il Sommo legislatore, il ‘delegato’ autorizzato a cambiare le regole del Conclave. Ad oggi, in base alla Costituzione, si devono attendere dai 15 al 20 giorni da quando inizia la sede vacante prima del cominciamento del Conclave, in vista dell’accorpamento dei cardinali dalle varie parti del mondo.
Oggi che la dimissione papale è svelata agli occhi di tutti, i solleciti che premono per l’anticipo dell’ingresso in Sistina trovano largo seguito. Il Motu proprio dovrebbe per questo legittimare una deroga ai termini già stabiliti dalla Costituzione, non predisponendo la data del Conclave bensì dando la possibilità di una sua convocazione in tempi più ristretti. Non mancano i pareri ostili all’anticipo: al riguardo l’arcivescovo di NY Timothy Dolan manifesta perplessità su un’eventuale spinta a favore dei cardinali “pronti”. La previsione del Motu proprio non dovrebbe inficiare ulteriormente sull’impostazione costitutiva, rimanendo fissato il quorum elettorale inequivocabilmente a due terzi.
Nel 2007 Benedetto XVI ha già precedentemente pubblicato un Motu proprio sul Conclave. All’epoca il suo intervento si limitò a correggere i dettami conclavari come fissati da Giovanni Paolo II nel 1996, in un unico articolo. La variazione del Pontefice toglieva al collegio cardinalizio la possibilità di eleggere un Papa a maggioranza semplice dopo tre settimane di conclave e ripristinava la maggioranza dei due terzi, anche in caso di ballottaggio da utilizzare dopo uno stallo tanto lungo. Il resto del provvedimento del 1996, nel quale il cardinale Francesco M. Pompedda che l’aveva minutato assorbiva il potenziale abbandono papale, veniva validato.
Il sistema del Conclave è rimasto comunque immune da ritocchi. Sono dieci i secoli lungo i quali il congegno conclavare si è gradualmente stratificato: la riserva dell’elettorato attivo ai cardinali risale al 1059, la legislazione sulla maggioranza al 1179, quella sulla reclusione conclavaria è del 1274, la proibizione di modificare le norme nella sede vacante del 1311; la compressione (a settanta) del numero dei cardinali del 1588, il depennamento del diritto di veto delle corone cattoliche del 1903, l’ingrossamento degli elettori e l’estromissione degli ultraottantenni datano 1968, la predilezione dell’unico scrutinio 1996, ed infine l’immissione del ballottaggio va al 2007.
Quella che ora si è schiusa con la rinunzia di Benedetto XVI resta pertanto una fase altamente inedita. Poche ore distanziano il ‘verdetto’ risolutivo che definirà quante e quali modifiche verranno apportate alle norme conclavarie.
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