Gli interrogativi che da tempo il mondo si pone circa la reale motivazione della rinuncia del Papa, si accavallano e intercorrono fomentati nelle residue ore di Pontificato. “Noi non sapevamo nulla -specifica un alto esponente della congregazione dei Vescovi, stretto collaboratore del cardinale canadese Oullet, uno dei nomi papabili per l’imminente successore– Il cardinale Oullet, responsabile della selezione della classe dirigente della Curia, non sapeva nulla (…) Ciascuno potrebbe concludere che il Papa non si fidava degli uomini. Che era solo. E che lo ha fatto per reagire a una situazione divenuta per lui, per varie ragioni anche personali, insostenibile”.
Un gesto invece di forza, segno di manifesta contestazione, viene ritenuto da uno dei tre cardinali incaricati di redigere la Relazione, Salvatore De Giorgi. Di vicino parere è anche il giovane filippino Luis Tangle, anch’egli inserito a pieno titolo tra gli aspiranti in corsa, il quale parla di “coraggio e sincerità del Papa”. Persino il teologo Walter Kasper, decennale capo dei rapporti episcopali con le altre congregazioni, si riferisce ad un “gesto di coraggio ed umiltà”, preso da un uomo, prima che Pontefice, incapace di trovare le forze degne di fronteggiare i recenti scandali vaticani.
Ecco i motivi per cui in molti vociferano l’auspicio di un successore “informato dei fatti”, non un Pontefice dunque che sia troppo distante dalla trama oscura che sembra avvolgere, dall’interno, le suddivisioni vaticane. Nelle ultime ore che precedono il Conclave non sono pochi i richiami a favore di Julian Herranz, cardinale spagnolo dell’Opus Dei, presidente della commissione inquirente ed estensore della tanto dibattuta Relationem.
E secondo fonti molto vicine allo Ior, sarebbe proprio la Relazione “la chiave di tutto”. Benedetto XVI ha optato per la delegazione della governance episcopale, dietro espliciti moventi di disillusione e probabili pressioni esterne, mantenendo le redini del solo Magistero. “Al governo dei potentati ecclesiastici sono inseriti, oggi, i nemici del Papa”; proprio queste, molto probabilmente, sarebbero le principali ragioni trainanti la scelta rinunciataria di Ratzinger, commenta un banchiere cattolico, diretto interessato delle manovre ‘Ior’.
Dietro i potentati ecclesistici pare proprio nascondersi il vertice bancario ecclesiastico, uno dei fulcri del potere vaticano indissolubilmente più marcati e longevi. In termini patrimoniali i beni della Chiesa sono cospicui e trasversalmente diffusi. Il capitale ecclesiastico resta comunque insondabile, la richiesta di una sua legittima censione continua a riflettere un’utopia. Come rivelato da Concita De Gregorio su “La Repubblica”, la stima dei possessi ammonterebbe a duemila miliardi di euro, mille dei quali sarebbero stazionati nel Bel Paese nostrano.
Gli immobili sparsi nel mondo, invece, assommerebbero a circa un milione: cifra questa destinata costantemente a progredire in vista delle donazioni (circa diecimila annue) testamentali. Per tornare in suolo italiano, la capitale Roma sarebbe per circa un quarto degli edifici, di proprietà vaticana. Secondo le ultime stime comunicate dal gruppo Re, di ufficiale consulenza della sede vaticana, circa un quinto del complessivo patrimonio immobiliare nazionale costituirebbe un bene proprio della Chiesa. Oltrepassando la prospettiva vocazionale o di fede puramente cattolica, i dati che emergono lasciano un senso di interdizione e profonda amarezza. Il messaggio di Cristo, emblema divino tra i peccatori mortali, non era forse quello di un modello esistenziale caritatevole, vicino ai volti dei reietti della società? Dove sta, qui, la promozione di una vita umile; dov’è finito il sommo messaggio clericale che invita a porsi nelle condizioni di chi, non certo per scelta, resta condannato ad avere sempre meno?
Viene alla mente la parcella (astronomica) incassata da Marco Simeon, giovane laico gestore delle intermediazioni immobiliari vaticane, di manifesta vicinanza bertoniana, il quale per avere venduto il convento romano di Viale Romania ha incassato un milione e trecento mila euro. Altro nome che risalta dalle pieghe delle ultime vicende è quello di Giuseppe Versaldi, cardinale incaricato del risanamento dell’Idi e posto a capo della Prefettura degli affari economici. Proprio l’Idi, secondo i piani di Bertone, avrebbe dovuto costituire uno dei punti saldi del sistema sanitario italiano insieme a San Raffaele, Gemelli, Casa del sollievo di San Giovanni Rotondo e BambinGesù. Come rivelato da Zygmund Zimoski, presidente del Consiglio pontificio pastorale per gli operatori sanitari, “le strutture sanitarie cattoliche, convenzionate con le regioni, in Italia sono pressapoco 5 mila” e altre 120 mila sono disseminate in vari Paesi del mondo.
Viene fuori la presenza di una lobby ligure nella linea di comando delle due principali fonti redditizie vaticane: appunto beni immobiliari ed enti sanitari. Alla dirigenza del patrimonio immobiliare Apsa si ritrova il cardinale Domenico Calcagno, bertoniano ed ovviamente ligure, recentemente promosso alla commissione cardinalizia dello Ior. Sono poi liguri Balestrero, anch’egli di riferimento bertoniano, figura d’interfaccia della Segreteria di Stato con lo Ior fino a poco tempo fa, e Piacenza, antagonista di Bertone ma degno alleato di Balestrero. Sembra rientrare nel giro anche Giuseppe Profiti, ex direttore del Gdf e delle risorse finanziarie della Liguria, condannato a sei mesi per concorso in turbativa d’asta per l’affare delle mense di Savona e posto dallo stesso Segretario di Stato a capo dell’ospedale pediatrico di Roma.
La lobby ligure rientra dunque a pieno titolo tra gli intricati meandri di matrice vaticana: tutto pare ora affiorare con impietosa dovizia, eppure nulla sembra poter trapelare. Al Conclave spetta il compito decisivo: chi potrà riportare la Chiesa alle redini morali del mondo? La posta in palio è alta, si prospetta un futuro nuovo, denso di sfide, che nulla dovrebbe però togliere alla storia millenaria che ci precede.
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