Tobin Tax in Legge di Stabilità, l’esordio a marzo 2013

Redazione 14/12/12
La Tobin Tax, la temuta (o invocata) tassa sulle transazioni finanziarie, proposta per la prima volta nel 1972 dal premio Nobel per l’economia James Tobin, professore alla Yale University (che ebbe tra i suoi uditori un ancor giovane studente italiano, Mario Monti), si prepara ad entrare nell’ordinamento italiano in sede di conversione in legge del ddl Stabilità.

Essa, comunque, sembra assumere un aspetto molto meno temibile, per i mercati finanziari, di quanto previsto nella sua formulazione originaria (con un’aliquota che poteva arrivare fino all’1% sulle grandi movimentazioni dei capitali).

L’emendamento del Governo presentato il 13 dicembre in Commissione bilancio del Senato prevede lo slittamento della partenza della tassa sulle transazioni finanziarie dal 1° gennaio (come precedentemente previsto) al 1° marzo 2013. Inoltre l’aliquota dell’imposta, che si applicherà sulle transazioni di borsa in azioni e strumenti finanziari partecipativi, sarà uguale allo 0,12% nel 2013 per poi scendere allo 0,1% nel 2014. Aliquota allo 0,22% (che diventa lo 0,2% nel 2014), invece, per le azioni negoziate nei mercati cosiddetti “non regolamentati” (OTC, “over the counter”). L’introito che fonti governative stimano di raccogliere nel 2013 è pari a circa 1 miliardo e 100 milioni di euro.

Categorie esenti dalla Tobin Tax

Saranno esenti dall’imposta i market maker, ovvero gli intermediari finanziari (persone fisiche o società) che pubblicano i prezzi di acquisto e di vendita dei titoli quotati in borsa e, modificando continuamente i prezzi in base alle oscillazioni del mercato, creano per essi la liquidità. Il Governo ha ritenuto di salvaguardare gli intermediari in quanto, come si legge nel comunicato dell’Esecutivo, “l’attività di supporto agli scambi svolge un ruolo fondamentale nel fornire liquidità ai mercati e l’applicazione dell’imposta potrebbe rappresentare un freno nei confronti di questa funzione”.

Saranno invece soggetti alla tassa gli intermediari finanziari non residenti, che “potranno avvalersi di un rappresentante fiscale” nominato in Italia. Nel caso di presenza di più intermediari, l’imposta sarà applicata all’intermediario più vicino al soggetto che realizza la transazione finanziaria.

La Tobin Tax non si applicherà, poi, alle transazioni in borsa di azioni emesse da società a bassa capitalizzazione: “Sono esclusi i trasferimenti di proprietà di azioni emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell’anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro”.

Esenzione estesa anche “agli Enti di previdenza obbligatoria, ai fondi pensione e alle forme pensionistiche complementari, in ragione delle funzioni sociali a essi affidate e dell’evidente mancanza di ogni intento speculativo”.

La norma prevede anche che l’imposta di bollo sui prodotti finanziari non potrà superare la soglia di 4.500 euro a partire dal 2013, limitatamente alle persone giuridiche.

Per quanto riguarda i famigerati titoli derivati, tra i principali responsabili (assieme ai mutui subprime) della bolla che portò al crac della Lehmann Brothers nell’agosto del 2008 e alla crisi economica in cui ancora si dibatte (dove più, dove meno) l’economia mondiale, la Tobin Tax avrà applicazione in Italia a partire dal 1° luglio 2013 “in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto”, come si legge nel comunicato del Governo. Per i sistemi di trading ad alta frequenza (high frequency trading, fondato sulla negoziazione così come generata in maniera automatica da computer in frazioni di secondo) viene introdotta una tassa “antispeculativa” con un’aliquota pari 0,02%. La norma stabilisce che “l’imposta venga applicata sugli ordini cancellati o modificati, laddove la proporzione rispetto a quelli eseguiti ecceda una determinata soglia numerica”.

L’Esecutivo commenta la disposizione affermando che in questo modo vengono colpite “le operazioni effettuate elettronicamente in periodi di tempo molto ristretti”.

L’impressione è che la “Tobin Tax all’italiana”, concordata in sede europea al Vertice Ue di Bruxelles di fine giugno 2012 in cambio (tra le altre cose) dell’apertura tedesca allo scudo anti-spread, sia nei fatti una tassa sulle transazioni finanziarie un po’ annacquata, una norma anti-speculazione all’acqua di rose, se non addirittura l’ultimo regalo fatto da Mario Monti alle banche.

Insomma, un semplice specchietto per le allodole per rabbonire un’opinione pubblica esasperata dal fatto che, alla fine, in ogni crisi a pagare siano sempre gli stessi? Il Governo non sembra di questo parere e rivendica come un valore l’equilibrio della normativa predisposta sulla tassazione della finanza. Il rischio di procedere a una tassazione troppo elevata (si parla anche solo di decimi di punti percentuali), infatti, era (è?) quello di incoraggiare la fuga dei capitali degli investitori stranieri, sia privati che istituzionali.

Il vero problema della Tobin Tax è che, per essere pienamente efficace, dovrebbe essere attuata a livello globale, così come nei progetti del suo ideatore, che intendeva con essa porre un argine allo strapotere della grande speculazione internazionale, stabilizzare i mercati ed utilizzare il gettito da essa derivante per obiettivi di sviluppo e cooperazione globale (sanità, istruzione, ambiente). Sarebbe utile, data l’estrema difficoltà a raggiungere un consenso universale verso la tassa, che essa fosse fatta propria almeno da un consistente novero di aderenti. Se attuata da un singolo Paese o da pochi Paesi e per di più con aliquote differenti, essa finirebbe anzi con l’aumentare la speculazione e, di conseguenza, l’instabilità.

Il nucleo originario dei sottoscrittori conta attualmente 11 Paesi dell’Unione europea, tra cui Italia, Germania, Francia e Spagna. Ma restano (significativamente) fuori i tre pilastri dell’“industria finanziaria” internazionale, cioè le tre borse valori più importanti al mondo per dimensioni dei capitali quotati: Wall Street (New York), la City (Londra) ed Hong Kong, che rappresentano da sole il 90% delle transazioni finanziarie mondiali.

Redazione

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