TFR statali, illegittimo il pagamento ritardato: cosa cambia ora

Chiara Arroi 26/06/23
Allegati

Il pagamento ritardato del TFR statali è illegittimo. Parola di Corte costituzionale, che spazza via di colpo la consuetudine di pagare la buona uscita ai dipendenti pubblici con il consueto e sistematico ritardo, anche di anni. La decisione è arrivata dopo un ricorso contro la norma che consente il differimento della corresponsione del trattamento di fine servizio (TFS) riservato ai dipendenti della pubblica amministrazione.

Un ricorso che ha portato i giudici costituzionali a pronunciarsi contro questa prassi, definita in netto contrasto con il principio costituzionale della giusta retribuzione. In sostanza, basta ritardi: la liquidazione agli statali deve essere pagata subito, in tempo brevi e certi, con la cessazione del loro servizio nella Pa.

Ricordiamo che nel frattempo è possibile chiedere l’anticipo del TFS/TFS. La richiesta di anticipo è a carico della Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, e integra, in via sperimentale per un triennio, le tipologie di anticipazione TFS/TFR attualmente vigenti (ordinaria e agevolata).

Ecco in concreto cosa ha deciso la Consulta e cosa cambierà ora.

Indice

TFR statali: pagamento differito illegittimo

Con la sentenza n. 130 la Corte costituzionale si è pronunciata contro la norma che consente il differimento del pagamento del TFR/TFS dei dipendenti statali, che obbliga questi lavoratori ad attendere anche anni per ricevere la liquidazione, dopo la cessazione del servizio.

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Sentenza n.130 del 23 giugno 2023 86 KB

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Vediamo in dettaglio la decisione sul TFR statali differito. Con la pronuncia 130 sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni. Le questioni erano state sollevate dal Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione terza quater, in riferimento all’art. 36 Cost.

Sul banco degli imputati ci sono quindi due norme:

  • l’articolo 3, comma 2 del decreto 79 del 1997, norma che ha introdotto un termine di dilazione di un anno per il versamento della liquidazione;
  • l’articolo 12, comma 7, del decreto 78 del 2010, che prevede la rateizzazione del Tfs.

Come spiega il comunicato stampa, la discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame.

Ricordano i giudici costituzionali (come stabilito già nella precedente pronuncia del 2019) che “La garanzia della giusta retribuzione, proprio perché attiene a principi fondamentali, “si sostanzia non soltanto nella congruità dell’ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione”.

Inoltre, spiegano: “Il trattamento viene, infatti, corrisposto nel momento della cessazione dall’impiego al preciso fine di agevolare il dipendente nel far fronte alle difficoltà economiche che possono insorgere con il venir meno della retribuzione. In ciò si realizza la funzione previdenziale, che, pure, vale a connotare le indennità in scrutinio, e che concorre con quella retributiva”.

“La perdurante dilatazione dei tempi di corresponsione delle indennità di fine servizio rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, in quanto contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell’attività lavorativa”.

Come dire: al termine della sua vita lavorativa il dipendente ha diritto a vedersi liquidare la buona uscita subito, sia per questioni economiche sia per questione di copertura previdenziale. Ne ha tutto il diritto. Sono soldi suoi e non può aspettare anni per vederseli versare.

Pagamento TFS statali differito: cosa cambia ora

E ora? In sostanza, con la pronuncia del 23 giugno, la Corte costituzionale chiede al legislatore di intervenire con tempestività, per colmare il vuoto di legge venutosi a creare con questa sentenza, che innova radicalmente l’attuale prassi normativa differita sul TFR statali. Si deve cambiare rotta il prima possibile, per iniziare a pagare ai dipendenti statali il TFS/TFS in tempi congrui.

Ritardare il versamento dei trattamenti di fine servizio TFS per i dipendenti statali che vanno in pensione per raggiunti limiti di età o di servizio rappresenta una “lesione delle garanzie costituzionali” del lavoratore. Per questo motivo è prioritario un intervento legislativo del Parlamento per rimuovere il “vulnus”.

Per approfondire il tema dei contratti di lavoro dipendente (nel pubblico e nel privato), consigliamo i libri “Il Lavoro Subordinato” e “Il Lavoro Pubblico“.
Consigliamo anche il libro “Paghe e contributi 2023”, come guida utile per l’elaborazione e la comprensione della busta paga 2023. Sono approfonditi tutti i passaggi necessari per l’elaborazione del cedolino e dei vari adempimenti connessi. In queste pagine viene spiegata, anche con l’uso di schemi e tabelle, la determinazione degli importi spettanti ai dipendenti, calcolando malattia, maternità, infortunio, liquidazione del TFR ecc. che possono verificarsi nello svolgimento del rapporto di lavoro, e calcolando anche i contributi previdenziali e le ritenute fiscali.

Tutto ciò si traduce in un cambio di rotta che, secondo le prime stime Inps costerà sui 14-15 miliardi di euro. I sindacati chiedono di fare in fretta e risarcire prima possibile i lavoratori e le lavoratrici danneggiati, e liquidare i prossimi pensionandi.

Cgil alza la bandiera di una class action nel caso il governo faccia orecchie da mercante, affermando che le tempistiche di liquidazione del TFS/TFR statali per i dipendenti pubblici hanno raggiunto “posticipi fino a 7 anni”. E anche Uil e Cisl chiedono un rapido intervento.

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