Che la Guardia di finanza avesse nel mirino il sito web dall’algoritmo “magico” era infatti risaputo da alcuni anni, anche se l’ammontare delle cifre contestate si è conosciuto con esattezza soltanto ora.
L’operazione contro Google era, infatti, iniziata già nel maggio del 2007, quando le Fiamme gialle aveva iniziato a occuparsi dei rapporti tra la multinazionale e le sue controllate Google Ireland e Google Italy srl.
Allora, sebbene l’indagine finì archiviata s’iniziò a togliere il velo sul risiko di filiali posto in essere dal gruppo Google, presenti anche nel nostro Paese “in maniera strumentale e non ausiliaria”. Insomma, l’attività degli uffici di Google nel nostro Paese non avrebbe solo la funzione di satellite della casa madre, ma svolgerebbe in realtà un business definito.
La faccenda resta un complicato intreccio di versamenti e società operanti sul mercato internazionale e rappresenta alla perfezione la sfuggevolezza delle imprese operanti nella new economy ai regimi più rigidi.
Il colosso di Mountain View, infatti, è solito registrare tutti i pagamenti in territorio irlandese, in virtù di una legge proprio in vigore in Eire, che azzera il pagamento di balzelli per trasferimento di profitti in un altro Paese.
La vicenda ricorda quella incorsa, sempre sull’asse Italia-Irlanda, alla Ryanair, finita sotto la lente degli agenti fiscali per il personale operante su territorio italiano ma sottoposto a vincoli contributivi stranieri.
Qui, a farla da padrona è invece la raccolta pubblicitaria di Google, che in Italia primeggia con i maggiori network televisivi e sbaraglia ogni concorrenza sull’online, per volumi di centinaia di milioni di euro annui.
Ora, però, il fisco italiano, non tenero nei confronti dei contribuenti, ha mostrato il suo volto feroce anche alla realtà leader nell’economia digitale, contestando circa 240 milioni di euro non dichiarati tra il 2002 e il 2006 e ben 96 milioni di possibile evasione dell’Iva.
E, a quanto pare, siamo solo all’inizio: i prossimi obiettivi della Guardia di finanza potrebbero essere altri due giganti del web, ossia Apple e Amazon.
A livello istituzionale, sarebbe in fase di preparazione una lista con i nomi di tutte quelle aziende che necessiterebbero di profonda verifica fiscale, specialmente quelle operanti nel settore dell’economia digitale e dunque in grado di dribblare abbastanza agevolmente le maglie del fisco.
Google, intanto, ha fato sapere tramite un comunicato, la sua disponibilità a spiegare tutto l’accaduto: “Google rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi”.
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