La giustificazione del Governo sembra tuttavia cozzare con le dichiarazioni di alcuni autorevoli oncologi, uno fra tutti il professor Tirelli. I pareri più critici alla tassazione, infatti, ricordano come ogni anno dal settore del tabacco lo Stato ricavi all’incirca 13,7 miliardi di euro, pari cioè al 7,2% del gettito da imposte indirette, rimarcando inoltre l’evidente crescita durante gli ultimi dieci anni delle correlate entrate, aumentate del 113%. Secondo un quadro generale, gli introiti derivanti dal settore tabacchi si aggirano intorno al 3% delle entrate fiscali complessive, rappresentando di conseguenza una fetta non indifferente delle risorse globali del Paese. Con riferimento esclusivo alle accise, la quota che le sale tabacchi sborsano nei confronti dello Stato si eleva al 26%: in sostanza, per un supposto valore del prezzo pari a 100, si otterrebbe che il 58,5 viene versato nelle casse dell’erario a titolo di accisa, il 17 sempre allo Stato per l’Iva, 10 viene a costituire l’utile del rivenditore, ed infine il 14,5 rappresenta il guadagno del produttore.
Prospettato uno scenario del genere appare quindi sempre più chiaro come le casse ‘pubbliche’, soprattutto in vista del momento di crisi in cui versa il Paese, fatichino a voler rinunciare ad una tassa così ‘proficua’, pur ammantando la manovra di un presunto richiamo salutista. Il fumo elettronico in compenso, così come confermato dallo studio dell’Istituto Leoni, può arrivare, a livello di costi, fino ad un terzo del fumo convenzionale, soprattutto in virtù della mancanza di accise. La diminuzione complessiva delle entrate da accise si stima attorno agli 800-1000 milioni di euro a seconda della diretta fonte di provenienza, di conseguenza il fumo elettronico fornisce a questa contrazione un contributo credibile che oscilla tra il 30 e il 50%. Assume dunque una consistenza ancora più appetibile questa assenza d’introito alle casse dello Stato.
“Non c’è motivo per cui le sigarette elettroniche debbano essere monopolio delle tabaccherie o a maggior ragione delle farmacie, come non c’è motivo per cui debbano esserci divieti sulla vendita di questi prodotti da parte di questi esercizi commerciali. -sono le conclusioni a cui approda lo studio dell’Istituto Bruno Leoni- Potrebbe in futuro essere scoperto che alcuni additivi fanno male, e quindi andrebbero ridotti o vietati, e che rischi residui per la salute potrebbero giustificare un livello (verosimilmente molto basso) di accise. Eppure ciò è rischioso, perché è già evidente che allo Stato non interessa la salute dei cittadini, quanto piuttosto le entrate fiscali”.
Sulla stessa linea espressa dalla valutazione dell’Istituto è anche il professor Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’Istituto tumori di Aviano, secondo cui “voler tassare le sigarette elettroniche e fare così in modo che meno persone le utilizzino è completamente sbagliato, in quanto con esse si diminuisce l’introduzione delle sostanze cancerogene dovute alla combustione delle sigarette tradizionali e che sono alla base delle malattie ben note. Coloro che sono forti fumatori e fumano per esempio 30 sigarette al giorno se ne fumano 5 al giorno, ecco perché utilizzando la sigaretta elettronica hanno un grande vantaggio per la loro salute”. In riferimento infine ai produttori, secondo quanto emerso da un ulteriore studio l’utilizzo della e-cig più potente, abbinato al liquido dotato di maggiore concentrazione di nicotina (16 mg per ml), per un numero complessivo di dieci aspirazioni rileva un contenuto complessivo di nicotina aspirato pari a 0,3 mg per ml, e cioè circa un terzo rispetto a quello della sigaretta tradizionale che in media rilascia 0,9 mg per ml per la stessa quantità di aspirazioni.
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