Cosa sono le Tabelle di Milano
Si tratta di uno strumento di fondamentale importanza per gli operatori nel settore del risarcimento danni, in quanto offrono i parametri, generalmente riconosciuti da tutte le corti giudiziarie italiane, per la definizione degli importi dovuti a titolo di risarcimento in caso di lesioni all’integrità psico-fisica.
Le tabelle di Milano consentono di identificare il valore base corrispondente ad ogni punto di invalidità (da 1% a 100%) commisurato all’età del danneggiato, e di definire in che misura possono essere applicati eventuali correttivi e maggiorazioni.
Le novità delle Tabelle di Milano
Nella versione 2018 le tabelle di Milano presentano la necessaria rivalutazione degli importi rispetto alla versione precedente (un aggiornamento di +1,2% per l’adeguamento ai più recenti indici Istat); anche il valore economico della liquidazione del danno non patrimoniale per un giorno di inabilità assoluta è stato attualizzato, portandolo da 96,00 € a 98,00 €, con la possibilità di aumentarlo fino al 50% in presenza di “comprovate peculiarità” del caso concreto.
Importanti novità anche con riguardo ai riferimenti economici per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale: in caso di morte del congiunto, spetta a ciascun genitore, a ciascun figlio e a ciascun coniuge non separato un risarcimento che sembrerebbe (vedremo in seguito perché usiamo il condizionale) essere compreso tra 165.960,00 € e 331.920,00 €. Eguali somme sono previste in favore del figlio per la morte di un genitore ed in favore del coniuge non separato, della parte dell’unione civile (elemento nuovo) o, infine, del convivente di fatto sopravvissuto. In favore del fratello del defunto e del nonno per la morte del nipote, invece, le somme previste a titolo di risarcimento vanno da 24.020,00 € a 144.130,00 €.
Con la nuova formulazione dei valori di riferimento, però, sono sorti alcuni dubbi interpretativi: pare, infatti, che, qualora sia provata l’esistenza del vincolo parentale, non esista più un “minimo garantito” di liquidazione, in quanto il primo dei due riferimenti economici viene definito come “valore monetario medio”. Cosa significa in concreto? Che se il valore di partenza non è un minimo sotto del quale non è possibile scendere, ma un valore “medio”, il minimo vero e proprio non potrà che essere una somma inferiore. E quale dovrebbe essere? Bella domanda. Innanzitutto, definire un valore come “medio” senza che si conoscano i valori di partenza appare assurdo. A meno che non consideriamo il minimo come zero, e il massimo come il valore più alto indicato dalla tabella, ma in questo caso, dal punto di vista matematico, si sarebbe dovuto parlare di valore “mediano”, non medio.
Il rischio è che si consideri tale valore “medio” come… il massimo ottenibile, e che, soprattutto alla prima richiesta di risarcimento alla compagnia di assicurazioni fatta in ambito stragiudiziale, non si possa che aspirare a tale somma, nella migliore delle ipotesi. Infatti, se prima si puntava ad ottenere un valore medio tra il minimo e il massimo espresso dalla tabella, ora il valore medio è già indicato nella tabella come tale.
Altra ricostruzione del reale senso da attribuire a quell’aggettivo “medio”, senz’altro più favorevole agli interessi dei danneggiati, sarebbe ritenere che l’osservatorio abbia semplicemente voluto definire con maggiore precisione la provenienza del dato (che è, appunto, il risarcimento che in media è stato riconosciuto nei casi esaminati a fini statistici dallo stesso osservatorio), così come si è meglio precisato che la soglia massima è da intendersi come “aumento personalizzato (fino al max)” mentre prima i due estremi erano semplicemente identificati con “Da:” e “A:”. Se così fosse, nella sostanza nulla cambierebbe rispetto a prima, se non l’aggiornamento del valore economico all’indice Istat più recente.
Sul punto senz’altro verrà fatta chiarezza con le prime applicazioni concrete dei nuovi parametri tabellari. Certo è che, su un punto così importante, sarebbe stata quantomeno auspicabile una maggiore precisione terminologica.
Altra novità, questa volta senz’altro positiva per i danneggiati, riguarda il danno conseguente alla lesione del rapporto parentale. Nella più recente formulazione delle tabelle di Milano, infatti, viene data la possibilità di prevedere per il congiunto di un macroleso un risarcimento massimo pari all’importo più alto indicato per il caso di morte del prossimo congiunto. Questo in base alla considerazione che, normalmente, il danno patito dai congiunti di un soggetto che subisce una grave invalidità psico-fisica è senz’altro parificabile al dolore per la perdita del congiunto, se non maggiore. Il lutto, infatti, consente dei tempi di elaborazione che possono, in una qualche misura, lenire il dolore del congiunto con il passare degli anni, mentre la sopravvivenza del parente con postumi invalidanti gravi non può che rinnovare, giorno dopo giorno, il patimento dei famigliari più stretti.
Novità anche per quanto riguarda i parametri economici di riferimento per la liquidazione del danno “terminale”, ovvero il caso in cui il danneggiato sia sopravvissuto con la consapevolezza dell’inesorabile avvicinarsi della morte (per un massimo di cento giorni dal sinistro) morendo, poi, per l’aggravarsi delle sue condizioni. In questi casi si stabilisce che l’entità del danno diminuisca con il passare dei giorni. Pertanto, se la morte si verifica poco dopo l’evento (fino a 3 giorni) viene riconosciuto un risarcimento di 30.000,00 €, che poi va diminuendo con il passare dei giorni, fino all’importo minimo di 98,00 € (che corrisponde al centesimo giorno dopo l’evento lesivo).
Novità, infine, anche per quanto riguarda il c.d. “danno biologico intermittente“, che si ha nel caso in cui il danneggiato venga a mancare per cause diverse del sinistro e prima che gli sia stato risarcito il danno non patrimoniale già determinato. In questo caso la durata della vita futura dell’avente diritto al risarcimento non è più un dato ipotetico, in base al quale viene calcolata l’entità del risarcimento per l’invalidità permanente determinata, ma un dato certo. Pertanto la liquidazione del danno va parametrata al numero di anni effettivamente vissuti e non all’aspettativa di vita residua.
Tale complessa voce di danno viene ora denominata dalle tabelle di Milano come “danno definito da premorienza“, e viene previsto un riferimento economico unico calcolato come una media annua di risarcimenti su un campione di casi esaminati dall’osservatorio, considerando un’aspettativa di vita media di 35 anni. Un valore, quindi, non parametrato sull’età del danneggiato ma esclusivamente sulla percentuale di invalidità riconosciuta e sulla durata del periodo di sopravvivenza. Il danno sarà più intenso in prossimità dell’evento lesivo, e via via meno significativo nel secondo e terzo anno, dopo il quale verrà considerato un valore fisso. Per esempio, una invalidità stabilizzata su 35 punti comporta un danno non patrimoniale liquidabile in 10.740,00 € se la morte per causa diversa dal sinistro avviene prima della liquidazione ed entro il primo anno, di 18.796,00 € se avviene nel secondo anno, di 5.370,00 € se avviene nel terzo anno o negli anni successivi, anche in questo caso con la possibilità di prevedere il “correttivo” di personalizzazione dell’importo fino al 50% in più. Possiamo dire che sia poco incoraggiante che si consideri circostanza possibile in via generalizzata che un danneggiato possa non aver ancora ricevuto il risarcimento per un danno già definito nella sua gravità dopo tre anni o più dal suo accertamento. Purtroppo i tempi della nostra giustizia ci impongono questa presa di coscienza. I parametri tabellari, se non altro, garantiscono, in questi casi, un trattamento minimo uguale per tutti.
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