La questione è nota ai più: un eccessivo impiego del contratto a termine, reiterato negli anni, e la conseguente incertezza economica che scaturisce da una posizione di perenne precariato.
Così, la battaglia legale vede contrapporsi due esigenze: da una parte quella della Pubblica Amministrazione al contenimento delle spese pubbliche a fronte di una crisi, che pare non trovi soluzione, dall’altra quella dei lavoratori precari che esigono stabilità economica.
Nell’ultimo anno, parecchi supplenti delle scuole pubbliche italiane si sono rivolti ai Tribunali, chiedendo la conversione del loro contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, o, in subordine, il risarcimento dei danni cagionati dall’abuso della forma contrattuale a termine.
Ciò sul presupposto che la normativa italiana in tema di arruolamento del personale scolastico deroghi, tanto alla disciplina generale sui contratti a termine (D.Lgs. 368/2001), attuativa della Direttiva 19999/70 CE del 28.06.1999 (che sanziona l’eccessivo utilizzo dei contratti a termine, con la loro conversione in contratti a tempo indeterminato), quanto alle disposizioni del Testo Unico sul Pubblico Impiego.
Peraltro, secondo i docenti, la disciplina prevista per i rapporti di lavoro pubblico, contenuta nel D.Lgs. n. 165/2001 (che esclude la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato) sarebbe abrogata per effetto dell’entrata in vigore del succitato D.Lgs. 368/2001.
Esaminando la questione nel dettaglio, il reclutamento del personale docente nella scuola pubblica avviene attraverso il meccanismo del c.d. doppio canale, che consiste nella creazione di graduatorie di circolo, attraverso le quali gli insegnanti vengono selezionati di anno in anno per le singole scuole.
Mediante periodici concorsi il 50% dei docenti è scelto per ricoprire uan cattedra a tempo indeterminato, mentre il restante 50% viene attinto alle graduatorie permanenti.
Pertanto, da un lato vengono inseriti i nuovi docenti nel sistema scolastico, dall’altro sono aggiornate le posizioni nelle graduatorie (c.d. scorrimento verso l’alto) di coloro i quali si trovano in una posizione più bassa, e che, in seguito alle supplenze svolte, hanno acquisito “punteggio“.
Tutto ciò nell’ottica di una progressione costante verso la stabilizzazione, poiché il conferimento dell’incarico di supplenza consente un aumento del punteggio e il contestuale avanzamento in graduatoria, sino all’ammissione in ruolo.
In breve, più supplenze annuali svolgi, più possibilità avrai in futuro di ottenere il posto fisso… se non arrivi prima alla pensione!
In questo modo, l’Amministrazione, che non è in grado di prevedere il numero specifico di supplenti necessari a sopperire il bisogno annuale di sostituzione dei docenti ammalati, in maternità, e quant’altro, predispone criteri oggettivi di scelta delle cattedre e delle supplenze da assegnare.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10127/2012, pubblicata il 20 giugno scorso.
I Giudici della legittimità sostengono che la reiterazione sine die dei contratti a termine tra Amministrazione scolastica e docenti supplenti ( che ecceda i limiti stabiliti dall’art. 36 T.U. 165/2001) non sia lesiva dei diritti dei lavoratori e dunque non faccia sorgere, in capo ad essi, alcun diritto al risarcimento dei danni.
La motivazione sta nel fatto che la procedura di reclutamento dei docenti risponde a peculiari caratteristiche proprie del settore, quali, ad esempio, la necessità di garantire continuità nel servizio scolastico, adeguando di anno in anno il corpo docente al numero degli alunni attraverso stumenti amministrativi flessibili.
In quest’ottica, l‘ordinamento scolastico si pone in un regime di specialità rispetto alla disciplina generale del pubblico impiego, e a maggior ragione rispetto a quella del D.Lgs. 368/2001.
Ad ulteriore conferma del principio sancito, gli Ermellini di Piazza Cavour sottolineano che ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni si applica ancora il D.Lgs. 165/2001 – il quale esclude la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato – e non invece il D.Lgs. 368/2001, rispetto al quale la disciplina in esame si colloca, appunto, in una posizione di specialità.
Quanto all’avanzamento in graduatoria dei supplenti, la Corte afferma: “il sistema in esame risponde… all’esigenza di parametrare nella scuola la flessibilità in entrata che comporta una situazione di precarietà, bilanciata, però ampiamenteda una sostanzialee garantita (anche se in futuro) immissione in ruolo che, per altri dipendenti del pubblico impiego è ottenibile solo attraverso il concorso e, per quelli privati può risultare di fatto un approdo irraggiungibile”.
Inoltre, la Cassazione giustifica l’attuale ordinamento scolastico richiamando le “indifferibili esigenze di carattere economico che impongono – in una situazione di generale crisi economica e di deficit di bilancio facenti parte del notorio – risparmi doverosi”.
In conclusione, secondo i giudici, non è rilevabile alcun abuso da parte della PA nell’utilizzo dei contratti a termine reiterati negli anni, né tantomeno si configura in capo ai lavoratori il diritto alla conversione del loro rapporto di impiego in contratto a tempo indetrminato, né il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni.
La sentenza è destinata senz’altro a suscitare scalpore e malcontento, poiché sembra dire: continuate a stipulare contratti a termine in attesa di ricevere in un futuro – non tanto prossimo – l’agognata cattedra.. se siete fortunati!
Insomma il classico motto “la speranza è l’ultima a morire!”.
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