Strane “emergenze” in Campania

Con sentenza n. 993/2012 l’ex presidente della Regione Campania Antonio Bassolino ed un dirigente della stessa, Fernando De Angelis, sono stati condannati a pagare circa 195 mila euro ciascuno, per risarcire l’erario del danno causato dall’erogazione di somme per lavoro straordinario.

La sentenza è interessante perché mostra un esempio del modo in cui sono stati spesi i fondi, erogati per una delle innumerevoli emergenze, di cui è costellata la storia italiana.
Intanto la gran parte dei fondi previsti per quella specifica emergenza non furono spesi per interventi effettivi sul territorio, ma in stipendi per il personale addetto all’organizzazione.
La sentenza riporta che dei 2.865.612,20 di euro spesi, ben 2.233.086,82 furono destinati a spese per il personale: in pratica, un’organizzazione che è esistita solo per mantenere se stessa, e non per rendere un servizio alla collettività – ma questo è un vecchio male italiano.
In concreto il presidente della Regione (nella qualità di commissario delegato) ed il dirigente sono stati condannati perché hanno adottato una loro ordinanza, che ha previsto di assegnare ai dipendenti regionali in servizio presso la struttura emergenziale, in aggiunta allo stipendio già in godimento, un “compenso mensile omnicomprensivo nella misura di seguito indicata al lordo delle ritenute di legge: coordinatore € 2.700, dirigente € 2.100, collaboratore € 900”.

L’erogazione è stata ritenuta illecita perché:
– il pagamento del compenso è stato previsto senza una previa verifica delle ore di straordinario effettivamente svolte;
– peraltro per i dirigenti non ha senso neanche il concetto di lavoro straordinario, giacché il loro di rapporto di lavoro non prevede dei limiti orari, essendo invece incentrato sul raggiungimento di risultati (casomai vanno remunerati questi, se raggiunti);
– l’esborso è stato posto a carico del bilancio statale, mentre l’ordinanza ministeriale sull’emergenza aveva previsto l’impegno sui bilanci degli enti locali interessati.

I primi due motivi corrispondono a principi assolutamente pacifici sul rapporto di pubblico impiego: non poteva esserci il minimo dubbio sulla loro applicazione, e per questo la Corte dei Conti ha ritenuto inescusabile il comportamento degli incolpati.
Non credo che la vicenda abbia bisogno di ulteriori commenti.
Solo per concludere, osservo che entrambi gli incolpati hanno provato ad eccepire la nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 17 , comma 30 ter, d.l. 78/09 conv. l. 102/09.
Si tratta del c.d. “lodo Bernardo”, cioè di una modifica normativa che ha cercato di ridimensionare i presupposti per l’avvio dell’azione di responsabilità, limitandola a quando incorrono in “specifica e concreta notizia di danno”.
Di fatto, è un notevole impedimento formale all’esercizio dell’azione. Per un commento a caldo leggi qui

Dario Sammartino

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