Negli eventi che portarono al disastro aereo del DC-9 dell’Itavia nelle acque vicino ad Ustica lo Stato italiano, e nello specifico il Ministero della Difesa e quello dei Trasporti, “non garantirono la sicurezza del volo e depistarono l’accertamento dei fatti”.
È questa la conclusione cui sono giunti i giudici della terza sezione civile del Tribunale di Palermo nella sentenza, depositata oggi, con la quale si condanna lo Stato ad un risarcimento di 100 milioni di euro, cui vanno aggiunti interessi e oneri accessori, in favore dei familiari delle 81 vittime e inserisce un nuovo tassello all’ormai più che trentennale vicenda dell’aereo che viaggiava da Bologna a Palermo la sera del 27 giugno 1980. E riapre la polemiche tra chi sostiene la tesi dell’abbattimento o dello scontro e chi si trincera dietro l’ipotesi dell’esplosione in volo. Probabilmente una verità definitiva non si avrà mai, ma sicuramente la sentenza del Tribunale di Palermo fa chiaramente sua la prima tesi.
In uno dei passaggi centrali della sentenza il giudice Paola Proto Pisani afferma in modo netto che “tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato che l’incidente occorso al DC-9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC-9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del DC-9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC-9”. Missile, quindi, o in subordine scontro tra velivoli, ma escludendo perentoriamente l’esplosione in volo.
La colpa dello Stato italiano, per la quale è stato disposto il risarcimento ai familiari, è duplice: in primo luogo ha consentito al DC-9 di inserirsi in un corridoio aereo nel quale era evidente che fossero in corso azioni di guerra e in secondo luogo ha ostacolato per oltre 30 anni la ricerca della verità su cosa effettivamente avvenne quella sera. Silenzi, omissioni e alterazioni di documenti sono tutti elementi che contribuirono a definire una vera e propria operazione di depistaggio, impedendo di giungere ad un accertamento definitivo in sede penale dei fatti. E di queste azioni deve ora rispondere lo Stato, che con la sua azione ha causato un “danno continuato e non estinguibile” che va ad aggiungersi al dolore patito per la perdita di un familiare nel disastro aereo.
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