“Ci sarà pure un giudice a Berlino”, diceva il mugnaio di Potsdam che, nel ‘ 700, opponendosi al sopruso di un nobile, dopo essersi rivolto, invano, a tutte le corti di giustizia germaniche per avere “giustizia”, volle arrivare a Federico il Grande. Quello tosto, quello di Prussia, il despota illuminato che suonava il flauto con Voltaire nel suo giardino a terrazzi. A Berlino il brav’uomo ebbe giustizia. Secondo la vecchia tradizione drammaturgica “il miglior giudice è il re”.
Nel nostro Paese, per fortuna, il miglior giudice non è il re ma la Corte Costituzionale che, all’occorrenza, sa pure suonare le giuste corde giuridiche.
Lode quindi alla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 15 depositata lo scorso 17 marzo 2015, ha messo la parola fine all’uso distorto nell’attribuzione di incarichi dirigenziali a Funzionari direttivi interni alle Pubbliche Amministrazioni. La questione, non nuova, è stata sollevata dal Consiglio di Stato trovatosi a valutare la legittimità del comportamento dell’Agenzia delle Entrate che da anni, in forza di reiterate proroghe, affida mansioni dirigenziali a propri Funzionari direttivi in attesa di coprire i posti dirigenziali con procedure concorsuali.
L’Agenzia delle Entrate, che più volte è stata sanzionata dalla giustizia amministrativa, era pure riuscita a trovare il conforto del legislatore attraverso una norma ad hoc che abilitasse la stessa a perseverare sia nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali sia nel prorogarne gli effetti in attesa di espletare le procedure concorsuali. La controversia, dai risvolti originariamente solo amministrativi, si è quindi spostata sui binari della legittimità costituzionale attesa l’esigenza di valutare preventivamente la conformità ai principi costituzionali della sopravvenuta normativa statale. Il Giudice delle leggi, nell’annullare la citata disposizione di legge, ha sancito alcuni importanti principi, alcuni dei quali nuovi.
Il primo, che “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso”.
Il secondo, che “Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (…). Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (…).
Il terzo, che “I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost”. La norma censurata si era infatti limitata “…a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati”.
La sentenza, a cui si rimanda per una lettura integrale del testo, non necessita di essere ulteriormente commentata ma di essere celermente applicata non solo dall’interessata Agenzia delle Entrate. Centinaia sono infatti i casi registrati in tutti gli Enti locali di affidamento, sine die, di incarichi dirigenziali a funzionari direttivi quale metodo ordinario ed alternativo al reclutamento mediante procedure concorsuali aperte. Facciano quindi presto gli Enti locali ad adottare i conseguenziali, quanto necessari, provvedimenti di autotutela, considerato altresì che la permanenza di un siffatto contesto antigiuridico darebbe luogo a diversi profili di responsabilità in capo a coloro che omettono di ripristinare le regole di legalità all’interno dell’organizzazione amministrativa dell’Ente.
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