E’ da anni che rivoltano come un calzino l’intero sistema giuridico-costituzionale.
Hanno messo le mani, a modo loro riformando e migliorando, su tutto il normativo esistente sulla faccia del territorio italiano: leggi, regolamenti, testi unici, Costituzione, sino all’ultima appendice del regolamento comunale di Valguarnera Caropepe di Sicilia. Su tutto… tranne che sulla Legge 31 ottobre 1965, n. 1261 in materia di “Determinazione dell’indennità spettante ai membri del Parlamento”, in soldoni quella che stabilisce quanto devono guadagnare i parlamentari.
Una legge vecchia e risalente ad un periodo storico ben preciso e completamente superato – diversa ricchezza della Nazione (ricordiamo il boom economico degli anni ’60), diverso materiale umano dedicato alla politica – in cui la maggioranza dei parlamentari era composta da adulti, da professionisti che avevano alle spalle carriere molto forti e consolidate, da persone che avevano dedicato interamente la loro vita al sociale (mi piace ricordare, per mero spirito campanilistico femminile, le due straordinarie Tina Anselmi e Nilde Iotti).
Quella legge decise che “l’indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 69 della Costituzione per garantire il libero svolgimento del mandato è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza”, il cui ammontare – determinato dagli Uffici di Presidenza delle due Camere – “non deve superare il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate”.
Legge già allora ai limiti della costituzionalità, oggi dichiaratamente forsennata e vergognosamente ingiusta.
L’odierno parlamento, composto da un numero spropositato di giovanotti e signorine i cui titoli personali e professionali spesso non riescono nemmeno a superare il certificato di battesimo e di cresima, si ritrova a pagare agli stessi giovanotti e signorine stipendi pari a Magistrati delle Giurisdizioni Superiori con quarant’anni di carriera alle spalle. Il che, considerato che il 90% degli stessi giovanotti e signorine sono spesso arrivati al parlamento tramite un’azione di mero lecchinaggio nelle segreteria politiche, riuscendo in tal modo a farsi inserire nelle liste elettorali dei loro padrini partitici, fa incazzare non poco!
E se l’incazzamento potrà essere poco giuridico, è certamente asettica ed imparziale la lettura dei dati storico-documentali di riferimento.
Ma non è finita qui.
Oltre a non essere cambiata la legge (che indica solo il tetto massimo da non sforare, anche se poi nessun Ufficio di Presidenza si è mai sognato di proporre indennità parlamentari pari agli stipendi dei comuni mortali italiani) sono state aggiunte tutta una serie di voci ulteriori (spese varie, rimborsi, indennità multiformi, diarie, vitalizi e benefit del più vario tipo) di non ben chiara delineazione e controllabilità. Voci di cui avremo modo di parlare – in modo analitico, scientifico e giuridico – in altro momento.
Con la nuova manovra correttiva si è succhiato il sangue ai poveri – crudeli prelievi a chi è già malato di leucemia galoppante –, si è fatto un piccolo ritocchino di tasse ai parlamentari più ricchi (a quelli che guadagnano più di 90.000,00 e 150.000,00 euro), e si è stabilito che il buon collega Ghedini, ai limiti della fame a causa delle misere parcelle berlusconiane, rinunci al 50% della sua indennità parlamentare ….
I più acidi e cattivi dicono che oggi la carriera politica è diventata la più felice delle soluzioni per sistemarsi professionalmente?
Hanno perfettamente ragione!
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