“Ci vuole un colpo d’ala”: sarebbero queste le parole del presidente del Consiglio Mario Monti, in seguito allo scandalo che ha travolto la Regione Lazio, portando il governatore Renata Polverini a rassegnare le sue dimissioni irrevocabili. “Ci stiamo riflettendo, abbiamo delle idee sul tavolo. Dobbiamo dare un segnale forte“, rintuzza un ministro e la Guardasigilli Severino fa eco: “Il tema dei costi della politica è meritevole di un provvedimento a sè stante”.
Intanto, però, i giornali traboccano di rivelazioni sulle spese pazze di Fiorito and company e la memoria riporta alla voragine dei conti alla Regione Sicilia – con conseguenti dimissioni, anche in questo caso, del governatore Lombardo – e le alterne fortune della giunta pugliese di Nichi Vendola, più volte tirata in ballo per casi chiacchierati, come quelli relativi alla sanità.
Per questo, negli uffici governativi si sta discutendo sulla possibile riforma del finanziamento – o rimborso, come venne giuridicamente rinominato in seguito al referendum che nel 1993 avrebbe dovuto chiudere il capitolo dei fondi consegnati per mano pubblica ai soggetti politici. Il ministro della Giustizia Paola Severino, a domanda sull’argomento, ha sottolineato che comunque non si possono equiparare le risorse centrali a quelle regionali, le quali hanno una propria specificità di spesa.
Intanto, qualcuno si chiede a che punto sia il lavoro di Giuliano Amato come incaricato alla spending review dei partiti. Monti chiarisce che “il suo lavoro non può restare nel cassetto”. Insomma, da qualche parte, qualcosa dovrebbe saltare fuori, anche se non è chiaro quanto ne risulteranno poi deficitati i partiti stessi, che quelle norme dovrebbero finire per votarle in Parlamento.
Tra le ipotesi, c’è quello di legare le erogazioni a tutti i livelli di governo alle certificazioni di bilancio che le forze politiche consentiranno sui propri bilanci, anche se i continui tira e molla sui controlli esterni lasciano presagire che, per quanto l’opinione pubblica possa spingere, sarà una faticaccia portare a compimento questo disegno.
Un primo atto, in scia ai grandi scandali di questi giorni, arriva proprio dal governatore pugliese Nichi Vendola, che ha dichiarato di volersi ridurre lo stipendio di 50mila euro annui: “Siamo chiamati a compiere gesti forti, in attesa che si possano definire a livello nazionale criteri omogeni di spesa e di retribuzione nei sistemi regionali. Nel frattempo, ciascuno è chiamato anche a dare un buon esempio“.
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