Come si coniuga il Tfa, quindi l’accesso per chi lo supererà alle graduatorie, rispetto ai tagli previsti dalla spending review che puntano a ridurre le supplenze e a cristallizzare gli organici odierni, puntando addirittura alla riconversione di insegnanti in amministrativi e tecnici?
Il Governo Monti con la spending review ha deciso ulteriori interventi sulla scuola senza alcuna finalità di miglioramento, ma con l’intento di fare cassa: saranno licenziati circa 15 mila precari e sottratti oltre 500 milioni di euro fino al 2015. L’utilizzazione dei docenti in esubero in ambito provinciale e il transito nei profili Ata di circa 3.675 docenti inidonei per motivi di salute all’insegnamento determinerà una riduzione dei posti disponibili sia per gli Ata che per i docenti. È evidente che, in questa situazione, il Tfa è una fabbrica di precari. I posti per le immissioni in ruolo, anche per gli effetti devastanti della riforma pensionistica, sono quest’anno di 22 mila docenti e 7 mila Ata. Il Ministro Profumo continua a parlare di concorsi, che in queste condizioni non sono possibili. La Flc Cgil ha proposto da tempo, con il suo progetto di ricostruzione della scuola pubblica, di dare stabilità triennale agli organici costituendo un organico funzionale per attuare il piano dell’offerta formativa. Bisogna trasferire una parte dell’organico di fatto in quello di diritto. Si potrebbero recuperare altri posti utilizzando anche gli spezzoni di orario.
Il taglio di oltre il 50% degli insegnanti all’estero che ripercussioni può avere sull’immagine internazionale del nostro Paese?
La riduzione del personale nelle scuole all’estero, dove sono previsti tagli lineari del 40%, fa venir meno i servizi di istruzione pubblica fuori dall’Italia. Evidentemente per il Governo Monti i cittadini residenti all’estero sono figli di un dio minore! La riduzione drastica degli interventi è destinata a compromettere tutta la nostra politica culturale e con essa la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo che saranno affidate all’iniziativa privata, al di fuori di qualunque strategia di interesse nazionale. È una scelta miope e di chiaro stampo neoliberista.
Perché la ricerca è sempre l’agnello sacrificale quando si tratta di tagli e gestione dei costi? È davvero così inevitabile passare per i tagli agli investimenti su chi dovrebbe essere il motore culturale propulsivo dell’università italiana?
Questo Paese da anni ha deciso di non investire sul futuro. I tagli alla ricerca sono un esempio di queste scelte regressive. Negli ultimi dieci anni è stato tagliato il 10% del fondo ordinario delle università e non è stato messo in campo alcun progetto strategico per la ricerca pubblica. In tutto il mondo sono state investite risorse ingenti perché – come si sa – ogni euro investito in ricerca produce nel tempo un valore aggiunto di 3 euro. In Italia in numero dei ricercatori è bassissimo e questo comporta che riusciamo ad attrarre meno risorse comunitarie rispetto a quanto versiamo alla comunità europea per sostenere i piani di ricerca. Voglio ricordare che i nostri ricercatori sono tra i produttivi e tra i più apprezzati nel mondo. Ci sarebbe bisogno di un serio progetto di riorganizzazione degli enti di ricerca troppo frammentati e senza le connessioni necessarie a costruire un vero e proprio sistema. È assurdo che all’Infn, proprio nel giorno della scoperta di una nuova particella, il Bosone di Higgs, si taglino 60 milioni di euro. È stato soppresso l’Inran che si occupa di ricerca nel campo alimentare e nutrizionale. Complessivamente siamo di fronte a scelte indegne: il Governo Monti e il Ministro Profumo hanno deciso la riduzione delle risorse alla ricerca, il blocco delle assunzioni e, anche in questo comparto, il licenziamento di centinaia di precari. Sarebbe questo un Paese che intende valorizzare i giovani?
Le nuove misure per la contribuzione universitaria sono davvero un “omicidio premeditato” dell’università italiana? Secondo lei sarebbe possibile un’altra soluzione per creare nuovi introiti per gli atenei?
Si! Negli ultimi anni, anche per l’effetto devastante della crisi che non consente a molte famiglie di garantire ai propri figli la prosecuzione degli studi, le iscrizioni alle università diminuiscono. Le politiche per il diritto allo studio sono carenti e per questa ragione la Flc ha proposto da tempo l’introduzione di un reddito di cittadinanza che garantisca l’apprendimento a tutti. Abbiamo un numero di laureati, pari al 19%, molto al di sotto della media europea e molto distante dall’obiettivo di “Europa 2020” di portare il numero di laureati al 40%. Bisogna aggiungere che i nostri laureati fanno molta più fatica a inserirsi nel mondo del lavoro perché manca una domanda di lavoro altamente qualificato da parte dell’imprese e del nostro sistema economico. Nella spending review è previsto che il tetto del 20% sulle tasse universitarie venga calcolato solo sugli studenti in corso e su tutte le risorse che lo stato trasferisce agli atenei. Voglio ricordare che gli studenti fuori corso sono circa il 40%, quindi, restringendo il numero degli studenti e allargando la quantità di risorse trasferite agli atenei su cui si calcola il 20%, il risultato sarà la triplicazione delle tasse universitarie. La conseguenza sarà probabilmente un ulteriore calo delle iscrizioni e una fuga verso le università private perché il blocco del reclutamento anche negli atenei farà sparire tantissimi corsi di laurea senza una programmazione basata su scelte qualitative.
Potendo scegliere cosa andrebbe urgentemente risanato nella scuola e nell’università italiana? Quali sono le decisioni da prendere per non mettere in ginocchio il sistema culturale italiano?
Prima di tutto tornare a investire per migliorare la qualità dell’offerta formativa e della ricerca pubblica. Occorre cancellare le controriforme degli ultimi anni che hanno messo in ginocchio scuola, università e ricerca e soprattutto affermare il concetto che la conoscenza è un bene comune per cambiare il modello di sviluppo del nostro Paese. Per uscire da questa crisi occorre un new deal e la diffusione dei saperi rappresenta la condizione necessaria per una società che punti alla piena e buona occupazione. Se non si parte dal valore del lavoro, dal sistema di welfare e dall’istruzione garantita a tutti non ci potrà essere alcun cambio di orizzonte, perché la crisi peggiorerà le condizioni di vita delle persone a partire dalle nuove generazione tagliate fuori dall’occupazione, dal diritto allo studio e dalle protezioni sociali. Il Governo Monti fino a ora si è occupato solo di mercati finanziari e della speculazione, mentre i “fondamentali” economici peggiorano e la condizione sociale è sempre più disperata. La spending review, così come è stata realizzata, uccide la possibilità di rilanciare l’intero sistema della conoscenza dopo i tagli disastrosi della Ministra Gelmini. Sono le vecchie e fallimentari ricette liberiste che hanno prodotto la crisi del sistema della conoscenza e che non garantiranno al Paese alcuna qualità nei processi di crescita.
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