Società partecipate: qual è l’obiettivo minimo?

Michele Nico 22/01/16
La scelta dello strumento societario da parte dell’ente locale impone quantomeno il conseguimento dell’equilibrio di bilancio, per non incorrere nel danno economico alla PA che può sorgere dalla lievitazione dei costi di produzione del soggetto partecipato, per effetto di un’errata impostazione del piano economico-finanziario o di un manchevole esercizio delle funzioni di controllo da parte del socio pubblico.

Con la deliberazione n. 73/2015 del 16 ottobre 2015 la Corte dei Conti, Sezione di controllo per la Liguria, ritorna sul tema dell’andamento gestionale delle partecipate, sottolineando ancora una volta i compiti, i doveri e le responsabilità che competono all’ente locale, in qualità di socio.

Dopo aver riscontrato una serie di criticità gestionali nella situazione economico-patrimoniale delle società partecipate dal comune oggetto dell’attività di controllo, la pronuncia in commento dedica un’apposita sezione all’esigenza di salvaguardare l’equilibrio di bilancio degli organismi strumentali alla PA, prefigurando nel caso contrario la possibilità di incorrere in un danno erariale.

La magistratura contabile ha più volte evidenziato, nel corso degli ultimi anni, che il ruolo di socio pubblico comporta l’esercizio di speciali prerogative di indirizzo e di controllo, di modo che qualora la società registri ricorrenti perdite d’esercizio, “l’ente non dovrà solo ponderare la modalità economicamente più vantaggiosa per ripianarle, ma dovrà analizzare a fondo le cause generative, al fine di migliorare l’andamento della gestione dell’organismo di erogazione del servizio pubblico locale, il cui primario obiettivo (…) è realizzare l’economicità della gestione e prefiggersi almeno il pareggio di bilancio” (CdC, sez. controllo Lombardia, delibera n. 86/2010/ PAR).

È infatti un dato incontrovertibile che se una partecipazione societaria dell’ente locale si rivela inutile o dannosa, essa è fonte di responsabilità erariale per gli amministratori pubblici che non hanno assunto provvedimenti, finalizzati a evitare un nocumento patrimoniale per l’ente (CdC in appello, sentenza n. 402/2013).

Di qui la necessità che la PA non si limiti a gestire con prudenza e oculatezza le risorse a sua disposizione, ma si preoccupi anche di esercitare un’accurata azione di controllo e di monitoraggio sugli organismi partecipati.

In linea con tali rilievi, la Sezione ligure osserva, anche in questo caso, che “la responsabilità dell’andamento economico-patrimoniale, nonché finanziario, di una società partecipata da un ente locale va condivisa con il socio, sia in relazione alla programmazione iniziale del piano economico-finanziario che all’attività successivamente svolta”.

Il tratto distintivo della delibera in esame è l’insistenza sull’obiettivo di perseguire almeno l’equilibrio di bilancio del soggetto partecipato, in quanto la gestione oculata e responsabile delle risorse pubbliche comporta la necessità di evitare una graduale erosione del capitale sociale apportato dall’ente al momento della costituzione della società.

La Corte osserva infatti che “la strutturale incapacità della gestione caratteristica di coprire i costi della produzione si traduce, se protratta nel tempo, in una surrettizia copertura di passività attraverso il patrimonio netto, che viene sottratto alla sua destinazione fisiologica (…) e destinato alla copertura ordinaria dei costi gestionali (che dovrebbero, invece, trovare ristoro nel ciclo della produzione).

Proprio in funzione dell’esigenza di promuovere il buon andamento degli organismi partecipati e prevenire le loro perdite gestionali il legislatore, con il Dl 174/2012, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213, ha introdotto l’articolo 147 quater del TUEL, secondo cui l’ente locale deve definire un sub-sistema di controlli finalizzato a garantire il monitoraggio periodico sull’andamento delle partecipate, analizzando gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e proponendo le azioni correttive del caso.

La Sezione Liguria osserva che per quanto tale forma di controllo interno sia obbligatoria ex lege, dal 1° gennaio 2015, per gli enti locali con popolazione superiore ai 15 mila abitanti, in realtà il controllo sugli equilibri finanziari introdotto dall’art. 147, comma 2, lettera c), dello stesso testo unico “impone comunque a tutti gli enti locali la valutazione degli effetti che si determinano sul proprio bilancio finanziario dall’andamento economico-finanziario degli organismi gestionali esterni”.

Ciò significa, in altre parole, che qualsiasi ente socio (anche al di sotto della suddetta soglia demografica) non può limitarsi a esaminare i consuntivi delle partecipate, ma deve svolgere un efficace ruolo di indirizzo e di controllo sia in fase di programmazione degli obiettivi gestionali, sia in fase di monitoraggio dei risultati mediante l’ausilio di un idoneo sistema informativo.

 

Michele Nico

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