Società Europea (SE): un’occasione persa o un punto di partenza?

Luigi Nastri 20/06/16
Il presente articolo si propone di analizzare la portata applicativa del regolamento CE 08/10/2001 n. 2157 relativo alla Società Europea (SE).

Tale provvedimento eseguito nel 2004 (insieme a quello del 2006 concernente la Società Cooperativa Europea) si è posto l’obiettivo di creare delle regole comuni in materia societaria al fine di garantire la libertà di concorrenza all’interno del mercato unico.

Il regolamento disciplina solo alcuni aspetti basilari della materia quali: le modalità di costituzione, l’assemblea, l’organo di gestione, il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione, mentre rinvia alle norme nazionali per tutte gli ambiti non espressamente disciplinati dallo stesso.

L’intenzione del legislatore europeo è quella di garantire sia la libertà dei soci di stabilire la sede sociale nel paese che offra le condizioni più vantaggiose (in particolare quelle fiscali) sia degli standard omogenei tra gli Stati membri in materia lavoristica: in sostanza la SE non deve costituire un pretesto per eludere le norme di uno Stato poste a tutela del lavoratori e causare danni a questi ultimi.

Degno di nota è l’art. 9 del regolamento che statuisce sulla gerarchia delle fonti in materia di SE: innanzitutto ribadisce la diretta applicabilità del regolamento, poi sancisce che nei casi espressamente previsti debba essere applicata la disciplina statutaria ed infine rinvia alle leggi dello Stato membro dove ha sede la società per regolare le materie non disciplinate dal regolamento stesso.

In effetti si potrebbe discutere sulla previsione che in Italia uno statuto di una SE prevalga sulla legge: è evidente la volontà del legislatore europeo di demandare all’autonomia privata la definizione della SE. Tuttavia il suddetto articolo sembrerebbe ragionevolmente dire che nei casi in cui lo statuto sia espressivo di quanto statuito dal regolamento debba prevalere sulla legge ribadendo in sostanza la diretta applicazione del regolamento UE.

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Delineata così la disciplina europea appare un po’ scarna.

Perché i soci dovrebbero scegliere il modello di SE se in fin dei conti è fortemente integrato dalla disciplina dello Stato in cui la società ha la sede?

Domanda che appare ancora più fondata considerato il fatto che il regolamento non sembra neanche prevedere una personalità giuridica europea, tant’è vero che ai sensi del combinato disposto degli artt. 12 e 16 la SE acquista personalità giuridica una volta iscritta al “registro imprese” dello Stato dove ha la sede. Anche la personalità giuridica appare agganciata alla legislazione nazionale e in un’ottica di circolazione della società nell’UE non è certo un vantaggio.

In verità il modello SE mira a favorire la mobilità transfrontaliera nonché la concentrazione di più società nazionali senza che tali operazioni comportino lo scioglimento della società e la relativa ricostituzione nel nuovo Stato in cui si intende stabilire la sede. È tutelata in sostanza la continuazione della vita giuridica della società.

A conferma di quanto si sta dicendo va evidenziato che non è possibile costituire ex novo una SE. Tra le modalità di costituzione figurano tra le altre, la fusione, la trasformazione, la creazione di una società europea holding.

Certamente tale regolamento mira a semplificare il trasferimento della sede da uno Stato membro all’altro, cercando di appianare le eventuali divergenze normative tra lo Stato di “partenza” e quello di “arrivo”.

Tali problematiche hanno forse inciso anche sull’effettiva applicazione del regolamento.

Secondo i dati www.ecdb.worker-participation.eu ad oggi ci sono poco più di 2500 SE in tutta Europa con una maggioranza netta in Germania e Repubblica Ceca, mentre in molti Stati membri le SE non arrivano alla decina.

Nello specifico in Italia sono state costituite solo due SE. Un motivo di tale insuccesso può essere rintracciato nella mancata ricezione del regolamento da parte del legislatore italiano (Rescio) ad eccezione delle norme sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione (anche se tale materia era disciplinata dalla direttiva 2001/86/CE e quindi con obbligo di ricezione).

A livello europeo una ragione della scarsa applicazione della SE può forse essere la mancanza di un Sistema Centrale per le visure camerali che favorisca la comunicazione e l’accesso alle informazioni tra amministrazioni e soprattutto notai europei. In effetti ci sono i dati centralizzati delle Camere di Commercio, ma non costituiscono uno strumento notarile: manca quello che per le compravendite immobiliari vuole essere EUFides.

In effetti il regolamento pur avendo dei pregi e ottimi propositi nella sostanza non garantisce una disciplina societaria uniforme. Un grosso svantaggio è non poter utilizzare la SE come modello per le società di nuova costituzione.

Una mancanza che rappresenta un ostacolo sia per l’armonizzazione del diritto societario tra gli Stati membri, sia un forte disincentivo per gli imprenditori extraeuropei che intendano investire in Europa, i quali, in sostanza, dovranno confrontarsi ancora oggi con una disciplina diversa per ogni Stato.

Come accade in Cina si potrebbe pensare a dei modelli comuni per gli investitori internazionali al fine di facilitare chi scelga di fare impresa in Europa. Una coesione giuridica che, almeno in teoria, potrebbe garantire vantaggi economici a tutti gli europei.

Luigi Nastri

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