Tale procedura è stata introdotta, a detta delle compagnie, per velocizzare i tempi di liquidazione, semplificare la procedura, favorire la definizione delle vertenze senza necessità di incardinare una causa civile e, di conseguenza, consentire un abbassamento dei premi assicurativi posti a carico degli assicurati.
In questa sede non voglio analizzare analiticamente, sotto il profilo giuridico e procedurale, i motivi per i quali, a distanza di tredici anni, sostanzialmente nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto.
Piuttosto, attraverso un semplice esempio, voglio presentarvi uno degli aspetti più controversi, e ai più sconosciuto, della procedura di risarcimento diretto, ovvero il funzionamento della Stanza di compensazione. Ecco la nostra storia.
Una signora rimane coinvolta in un sinistro stradale di modestissima entità, il più classico dei tamponamenti al semaforo: l’auto che precede è ferma in attesa del verde e la signora, avvicinandosi all’intersezione, sbadatemente ritarda la frenata andando a toccargli il paraurti con il frontale della propria macchina.
Scese dai veicoli, le parti coinvolte possono constatare che il danno è davvero minimo, giusto una lieve rigatura vicino alla targa, senza alcun danno visibile sull’auto che ha tamponato.
Ebbene, la signora ammette subito la propria responsabilità e, vista l’esiguità del danno, si rende disponibile a provvedere personalmente al pagamenti dei costi di riparazione in quanto, se procedessero con la denuncia del sinistro presso le rispettive compagnie, l’aumento del proprio premio assicurativo sarebbe senz’altro superiore rispetto all’importo della fattura del carrozziere.
Controparte, però, non ci sta. Pretende di redigere la constatazione amichevole di incidente, che viene compilata e sottoscritta da entrambi.
A distanza di qualche settimana la protagonista della nostra vicenda ha lo scrupolo di voler capire quanto sia costata, effettivamente, la riparazione di quel danno così insignificante
Chiede, così, notizie al proprio assicuratore, il quale le riferisce che la compagnia della controparte ha ottenuto, a titolo di rimborso per il risarcimento pagato al proprio cliente, la bellezza di 1.800,00 €.
La nostra protagonista, non capacitandosi di come la riparazione di una lieve rigatura al paraurti possa essere costata così tanto, decide di andare a fondo nella questione, scrivendo all’ufficio reclami della compagnia di controparte ed esprimendo le sue perplessità.
La risposta che riceve di lì a poco, però, ha dello sconcertante. Le viene spiegato, infatti, che la fattura di riparazione del mezzo era di soli 300 euro.
Ma il rimborso ottenuto presso la Stanza di compensazione è stato di 1.800,00 €. Come è possibile tutto ciò? E che cos’è questa “Stanza di compensazione”?
Ce lo dice direttamente il sito di Consap – Concessionaria servizi assicurativi pubblici S.p.A., ovvero l’ente presso la quale tale struttura viene gestita. Vi si legge che la Stanza di compensazione ha la funzione di “regolare contabilmente i rapporti economici tra le imprese e fornire i dati, per il calcolo annuale dei valori da assumere ai fini della compensazione, al Comitato Tecnico istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico“.
In altre parole, la Stanza di compensazione è immaginabile come un grande deposito di denaro, alimentato dalle stesse compagnie di assicurazione, presso il quale la compagnia che ha pagato il danno al proprio cliente in regime di risarcimento diretto (detta “gestionaria”) va a prelevare, volta per volta, il relativo rimborso. Già, perché la gestionaria paga il danno sostituendosi alla compagnia che assicura il veicolo che ha torto, al fine di rendere più snella e semplice la procedura. Ma ne siamo poi così sicuri?
Direi proprio di no. Basti pensare che il rimborso che la gestionaria ottiene in Stanza di compensazione non corrisponde all’importo effettivamente pagato. Si tratta di una somma “a forfait”, stabilito in base al costo medio dei danni liquidati nell’anno precedente e calcolato, anno per anno, mediante un complesso meccanismo fatto di algoritmi, riferimenti geografici e calcoli su plafond stabiliti a monte.
In altre parole, se la compagnia gestionaria paga un danno di importo inferiore a tale costo forfettario, la differenza tra quanto pagato e quanto ottenuto in rimborso sarà tutto guadagnato.
Un sistema che, come è facile intuire, risulta essere tutto fuorchè equo, lasciando spazio a molte perplessità in ordine all’esatta stima degli importi da riconoscere ai malcapitati danneggiati, che avranno sempre il dubbio (legittimo, dato il funzionamento di questo sistema) che la propria compagnia sia propensa a sottostimare il danno che è chiamata a risarcire, in modo da massimizzare il guadagno in sede di rimborso forfettario.
In definitiva chi si dovesse trovare nella stessa situazione della protagonista della nostra storia non potrebbe, senza il benestare della controparte, avere la possibilità di risarcire di tasca propria un danno esiguo risparmiandosi così l’aumento del malus.
Certo, potrebbe avvalersi della procedura, prevista dalla Consap, che consente a chi ha causato un sinistro di rimborsarlo di tasca propria pagando direttamente l’importo alla Stanza di compensazione e facendosi rilasciare una attestazione da presentare alla propria agenzia, ma la procedura è lunga e complessa.
Perchè non favorire, piuttosto, un sistema che consenta alle parti di accordarsi tra loro o, eventualmente, di pagare direttamente al proprio assicuratore, in totale trasparenza, la fattura di riparazione presentata dal danneggiato, evitando così inutili lungaggini e sperperi di denaro?
Questo è soltanto un esempio che permette di capire come il sistema di risarcimento diretto sia del tutto inefficiente e iniquo.
Del resto non siamo i soli a dirlo. L’Antitrust nel 2013, ha compiuto una indagine molto approfondita sul funzionamento di questa procedura, affermando, a conclusione dello studio, che «il meccanismo del risarcimento diretto non ha funzionato», auspicando «una riforma di sistema che rilanci la competizione tra le imprese». Ma, ad oggi, tutto tace.
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