In un sistema di gestione integrata dei rifiuti in Sicilia in cui non si riescono a trovare le soluzioni per uscire dallo stato di cronica emergenza, alcuni Sindaci hanno deciso di adire le vie legali avverso l’incapacità delle società d’ambito di gestire i relativi servizi comunali di raccolta dei rifiuti, altri ancora hanno deciso di “portare i libri in Tribunale” della società d’ambito di cui risultano essere soci involontari.
A questo punto, e in disparte le inevitabili finalità politiche di siffatte iniziative, sorge spontaneo interrogarsi sull’ammissibilità della procedura fallimentare per le società d’ambito già messe in liquidazione dal legislatore regionale in attesa di far transitare la titolarità del servizio alle nuove società di regolamentazione rifiuti (SRR). Dottrina e giurisprudenza hanno copiosamente affrontato la questione risolvendola, prevalentemente, nel senso dell’assoggettamento di tutte le società private a partecipazione pubblica alle procedure fallimentari al pari dei soggetti economici commerciali. Su tale solco interpretativo si è pure collocata la sentenza della Sezione fallimentare del Tribunale Civile di Palermo che nel 2014 ha dichiarato lo stato d’insolvenza della società d’ambito Alto Belice Ambiente s.p.a., obbligandone il deposito dei bilanci delle scritture contabili e fiscali obbligatori nonché l’elenco dei fornitori da soddisfare.
Lasciando ad altra occasione l’approfondimento giuridico della questione, non conciliabile con le esigenze di sintesi giornalistica, ci permettiamo di dissentire dalla citata decisione. Il Tribunale, nell’excursus argomentativo ha omesso di discriminare, all’interno della galassia dei soggetti privati a partecipazione pubblica, quelli che abbiano assunto la veste societaria, iscrivendosi anche nel registro delle imprese, il cui assoggettamento alla disciplina privatistica non è dipeso da un fatto autonomo e volontario dell’Ente pubblico di riferimento, ma dalla volontà del legislatore. Ma vi è di più, il Tribunale non ha neppure discriminato le società pubbliche che gestiscono servizi d’interesse economico da quelle che si limitano all’esercizio della titolarità della funzione pubblica affidata loro dal legislatore. La particolarità delle società d’ambito siciliane è proprio quella di avere avuto affidato, dalla legislazione emergenziale prima e da quella ordinaria dopo, la titolarità della funzione pubblica relativa al servizio integrato dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali. Il fatto che alcune di queste società d’ambito abbiano pure assunto la deprecabile veste di ente gestore ed operativo del medesimo servizio, non può comportare l’assimilazione della “titolarità della funzione pubblica” – a monte – alla “gestione del servizio pubblico locale” – a valle -.
Postulato di questa fondamentale discriminazione è che solo la fase gestoria del servizio – a valle – è rimessa alla volontà dell’Ente pubblico di riferimento (o degli Enti pubblici nel caso di controllo analogo congiunto) e non anche la fase – a monte – di affidamento della titolarità della funzione pubblica che rimane nella disponibilità del legislatore. Se così non fosse, si assisterebbe ad una traumatica interruzione non tanto di un servizio pubblico locale – che ben potrebbe essere assicurato in via sussidiaria dai Comuni mediante ordinanze extra-ordinem – ma della presupposta funzione pubblica in violazione del principio di legalità prima e delle connesse esigenze di continuità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione dopo.
Orbene, se è vero che solo il legislatore può disporre il trasferimento di una funzione pubblica da un ente ad un altro è altrettanto vero che tra gli enti pubblici esonerati dalla procedure concorsuali non possono non essere annoverati anche quegli enti, come le attuali liquidande società d’ambito (così come le future SRR), che sono chiamati direttamente dal legislatore ad esercitare in modo associato la funzione pubblica di controllo e regolazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti in Sicilia, senza alcun margine di discrezionalità. Per i Comuni, infatti, l’adesione a tali soggetti rimane un fatto obbligatorio e sottratto alla rispettiva autonomia amministrativa.
Funditus, in presenza di accertate e croniche inadempienze nella gestione delle liquidande società d’ambito, la strada maestra non può essere quella di avventurarsi verso un’improbabile espropriazione indebita di una funzione pubblica affidata ope legis alla società d’ambito ad opera del Tribunale di turno, ma quella di attivare i poteri sostitutivi della Regione in attesa che il legislatore regionale riformi tutto il quadro normativo in materia facendo tesoro sia delle raccomandazioni dell’ANAC che delle reiterate diffide del Ministero competente.
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