L’art. 58 del disegno di legge “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Primo stralcio”, approvato in aula, detta l’ennesima innovazione sugli organi di revisione, con il sostanziale adeguamento alla disciplina nazionale, anche per quanto riguarda il numero massimo d’incarichi.
La materia, negli ultimi 24 mesi, è stata trattata da quattro leggi, tutte contenenti norme imprecise o contradditorie.
L’ultima è stata la L.r. n 17/2016, accolta con favore dalle organizzazioni di categoria, che però conteneva il confuso comma 7 dell’art. 10, sul limite degli incarichi.
Cosa prevede la norma nazionale?
La norma nazionale (art. 238 del D.Lgs. n. 267/2000) prevede che, salvo diversa disposizione del regolamento di contabilità dell’ente locale, ciascun revisore non possa assumere complessivamente più di otto incarichi, tra i quali non più di quattro incarichi in comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non più di tre in comuni con popolazione compresa tra i 5.000 ed i 99.999 abitanti e non più di uno in comune con popolazione pari o superiore a 100.000 abitanti (le province sono equiparate ai comuni con popolazione pari o superiore a 100.000 abitanti e le comunità montane ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti).
Il legislatore regionale…
Il legislatore regionale, con la scelta di due soli incarichi, puntava all’aumento del numero di soggetti convolti nell’attività di revisione degli enti locali ma questo determinava un minore interesse ad acquisire competenze in questo settore.
All’atto della presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di scelta dell’organo di revisione dell’ente locale, oggi il professionista deve presentare una dichiarazione attinente quella che viene, in maniera non tecnica, definita “incompatibilità”.
Sarebbe stato più opportuno parlare (come fa la norma nazionale) di limite e non di “incompatibilità”.
E’ rimasto dubbio se il professionista che dichiara di essere incompatibile debba essere escluso dal sorteggio o su di lui incomba l’obbligo di rinunciare ad uno dei precedenti incarichi.
La legge, però, non fissa alcun termine per rimuovere quella che viene causa di “incompatibilità” e, certamente, ciò non può essere lasciato alla libera interpretazione di ciascun ente.
La lettera della norma ha previsto che il professionista “non potrà assumere più di due incarichi”, lasciando aperta la possibilità che il momento rilevante è quello dell’accettazione e non della presentazione della candidatura.
La legge, però, recita “tale incompatibilità va dichiarata all’atto della presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di scelta dell’organo di revisione”.
A parte il refuso di richiedere una dichiarazione di incompatibilità (anziché una dichiarazione di insussistenza delle cause di incompatibilità), appare evidente che il legislatore chieda al professionista di dichiarare di non avere più di un incarico al momento in cui presenta la candidatura e non un mero impegno a dimettersi da uno degli incarichi precedenti.
Adesso con il voto favorevole dell’Assemblea, anche in Sicilia opererà la stessa previsione che nel resto d’Italia e, quindi, ciascun revisore non potrà assumere complessivamente più di otto incarichi, con i limiti fissati per classe demografica.
Le province saranno equiparate ai comuni con popolazione pari o superiore a 100.000 abitanti e le comunità montane ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
E’ una legge maledetta, giacché anche l’ultima versione contiene un palese errore. In effetti, in Sicilia le comunità montane sono state soppresse già nel 1986, con l’art. 45 della L.r. n. 9.
Cosa differisce dalla legislazione nazionale?
Quello che continua a differire rispetto alla legislazione nazionale è la composizione dell’organo di revisione nei comuni compresi tra 5000 e 15.000 abitanti (monocratica nel resto d’Italia, collegiale in Sicilia) ed i requisiti richiesti per la presentazione della candidatura per partecipare ai sorteggi.
Nel resto d’Italia, nelle unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali, è previsto il collegio di tre revisori, mentre in Sicilia è previsto, in ogni caso, l’organismo monocratico.
Per i comuni siciliani con popolazione superiore a 5.000 abitanti e fino a 15.000 abitanti è previsto che un solo componente possa essere al primo incarico, mentre gli altri due dovranno aver svolto almeno un incarico, della durata di tre anni, di revisore dei conti presso enti locali.
Non è stato accolto il suggerimento dell’Associazione Siciliana degli Amministratori Locali (Asael) che chiedeva di escludere la possibilità che un revisore alla prima esperienza fosse nominato quale organo monocratico.
Per tutto il 2017, i richiedenti devono avere conseguito, nell’anno precedente, almeno 10 crediti formativi riconosciuti dai competenti ordini professionali e da associazioni rappresentative dei revisori riconosciute a livello nazionale, per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.
Dopo che la legge sarà approvata definitivamente e pubblicata, l’Assessorato regionale delle Autonomie locali avrà trenta giorni di tempo per istituire un elenco, accessibile dal proprio sito internet, sul quale dovranno essere censiti tutti i revisori dei conti che intendono partecipare alle estrazioni. In tal elenco oltre le generalità di ciascun revisore dovranno essere riportati i crediti conseguiti in ciascun anno e gli incarichi già svolti o in corso di svolgimento. L’aggiornamento di detto elenco sarà operato entro il 31 gennaio di ciascun anno a cura di ciascun revisore o al verificarsi di eventi modificativi.
L’occasione sarebbe stata propizia, per disciplinare la questione dei compensi dei revisori. Attualmente la Sicilia recepisce la normativa nazionale in materia. Il legislatore ha previsto un limite massimo per i compensi, senza definire un limite minimo.
La motivazione della scelta del legislatore risiedeva nel fatto che le nomine dei revisori erano “politiche” e la volontà era quella di negare al Consiglio comunale che eleggeva i professionisti, di gratificarli con compensi esorbitanti. Essendo i revisori di gradimento politico (ed, a volte, clientelare), non c’era alcuna ragione che il Consiglio comunale ne riducesse i compensi.
Con l’imposizione della scelta per sorteggio, rispetto ai compensi è scattata una corsa al ribasso che ne umilia la professionalità e ne riduce l’autorevolezza.
La giurisprudenza contabile si è divisa sulla possibile di estrapolare per via interpretativa un limite minimo al compenso, rilevabile nella retribuzione massima prevista per la fascia demografica immediatamente inferiore.
L’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali, aderendo all’orientamento della sezione Lombardia della Corte dei Conti, ha abbracciato tale interpretazione.
Mentre la sezione Autonomie della Corte dei conti (deliberazione n. 16/SEZAUT/2017/QMIG del 13 giugno 2017), ha sancito che l’individuazione di limiti minimi del compenso dei revisori degli enti locali non può competere alla magistratura contabile nell’esercizio della funzione consultiva ma spetta esclusivamente al legislatore.
L’Assemblea Regionale Siciliana aveva l’occasione di disciplinare, per prima, la materia ma non ha affrontato la questione, preferendo attendere le decisioni del legislatore nazionale.
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