Il decreto, osserva la commissione di Palazzo Spada, è finalizzato a dare impulso a una riforma organica del settore, superando le criticità del quadro normativo attuale che è il risultato di una serie di interventi frammentari adottati in contesti storici diversi, allo scopo di perseguire finalità di volta in volta imposte da esigenze contingenti.
Al di là dei numerosi aspetti tecnici presi in esame dal parere, è fuor di dubbio che in questi giorni si sta preparando una svolta storica per l’organizzazione dei servizi pubblici locali, con nuove incombenze e responsabilità all’orizzonte sia per gli enti locali in qualità di soci, sia per le società da questi partecipate.
La prossima pubblicazione in Gazzetta ufficiale di due testi unici concomitanti – l’uno in materia di società a partecipazione pubblica, l’altro dedicato alla disciplina dei servizi pubblici locali di interesse generale – rappresenta un evento di grande portata, e testimonia la volontà dell’attuale Governo di mettere a punto, dopo lunghi anni d’incertezza, un profondo riordino del delicato settore.
Sin dagli albori di questo secolo il legislatore ha intrapreso interventi “a singhiozzo” per l’organizzazione della materia, con l’esito di un quadro piuttosto confuso che ha più volte oscillato tra la promozione dell’obbligo di gara per le gestioni e la protezione dei monopoli locali, con la tutela incondizionata degli affidamenti in house.
Dopo che il referendum popolare del giugno 2011 ha abrogato l’articolo 23-bis del Dl 112/2008, convertito in legge 133/2008 e il suo regolamento attuativo (DPR 168/2010). l’articolo 4 del Dl 138/2011, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, ha dato corso a un ulteriore tentativo di riformare la gestione dei servizi locali, con l’obiettivo di traghettare il settore dal regime di monopolio alla libera concorrenza.
Tale processo si è però arenato con la sentenza della Consulta n. 199/2012, che dichiarando l’illegittimità costituzionale del succitato art. 4 per il divieto di ripristino della normativa abrogata dal referendum, ha posto fine una volta per tutte al disegno di liberalizzare il mercato.
Al che, l’attenzione del legislatore si è spostata sulle modalità organizzative dei servizi locali, con l’intento più volte dichiarato, ma non ancora realizzato, di ridurre drasticamente le 10 mila società partecipate, spesso viste come “rami secchi” da tagliare per incrementare l’efficienza della PA.
Va tenuto presente che a fronte delle difficoltà emerse nel processo di dismissione delle società pubbliche in perdita secondo l’obbligo disposto dall’art. 14, comma 32, del Dl 78/2010, tale disposizione è stata abrogata dalla legge di stabilità 2014 (art. 1, comma 561, della legge n. 147/2013), mentre d’altra parte il processo di razionalizzazione delle partecipate avviato successivamente dalla legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 611, della legge 190/2014) non ha sortito gli effetti sperati.
In tale difficile contesto, i nuovi testi unici sulle società partecipate e per la disciplina dei servizi locali dovrebbero diventare gli strumenti di lavoro per realizzare gli obiettivi mancati, e rilanciare così una difficile sfida sul territorio puntando, ancora una volta, al contenimento della spesa pubblica..
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento