Con questa motivazione l’Antitrust, a seguito di un’accurata istruttoria, con il provvedimento n. 25449 ha irrogato una sanzione pecuniaria alla società che gestisce l’aeroporto di Venezia (SAVE), pur escludendo, per quanto attiene all’elemento soggettivo dell’infrazione commessa, la sussistenza di una volontà diretta a eludere dolosamente il controllo dell’Autorità garante.
Tale circostanza non esime peraltro la SAVE dal giudizio di colpevolezza per aver gestito in forma diretta i suddetti servizi di assistenza dal 2001 fino a oggi, in quanto l’art. 3 della legge 689/1981 dispone che “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
Per inquadrare l’intervento dell’AGCM in esame, occorre premettere che in ambito aeroportuale si usa distinguere tra le attività aviation, inerenti ai servizi di volo e ai servizi a questi collegati (tra cui, appunto, i servizi di assistenza a terra, cosiddetti servizi di handling), e le attività non aviation, relative ai numerosi servizi commerciali offerti ai passeggeri all’interno dell’aeroporto.
Storicamente, in un contesto economico di monopolio naturale, l’insieme delle attività aviation è stato affidato in via esclusiva ai gestori aeroportuali titolari di apposite concessioni amministrative, ma dal 1° gennaio 2001 sono cambiate le cose, dacché i servizi di assistenza a terra passeggeri e merci sono stati liberalizzati a seguito della direttiva 96/67/CE, recepita dal legislatore italiano con il decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18.
In conseguenza di ciò, da lungo tempo ormai i servizi di handling possono essere svolti anche da soggetti terzi, con l’ausilio delle infrastrutture messe a disposizione dal gestore aeroportuale, rispetto alle quali gli operatori alternativi vantano un vero e proprio diritto di accesso.
Con riferimento a tale specifica disciplina, è interessante notare che la SAVE, nel corso del procedimento d’infrazione avviato dall’Authority, ha sostenuto di aver gestito i suddetti servizi di assistenza in regime di separazione contabile, attenendosi a quanto prescritto dall’art. 7 del dlgs 18/1999, e assumendo il carattere speciale di quest’ultima normativa di settore, da ritenersi a suo avviso prevalente rispetto all’art. 8 della legge 287/1990, recante l’obbligo di separazione societaria.
Una siffatta tesi non è però accolta dall’Autorità, a giudizio della quale la previsione di cui alla legge 287 “supera eventuali obblighi di separazione contabile imposti dalle normative settoriali, introducendo semmai una ulteriore misura pro-concorrenziale, di portata generale e applicabile a tutti i settori economici”.
Richiamando alcuni precedenti, l’AGCM conclude che “la separazione contabile, anche laddove rispondente alla normativa comunitaria applicabile al settore interessato, non esime dal rispetto degli obblighi di separazione societaria, attraverso i quali il legislatore nazionale ha ritenuto necessaria una divisione più netta tra attività in convenzione e attività liberalizzate, valutando insufficiente il vincolo della sola separazione contabile”.
La sussistenza di due distinte disposizioni in potenziale conflitto tra loro e l’esigenza di una’accurata interpretazione del quadro normativo escludono, come già si è detto, l’elemento doloso della condotta contestata, la quale implica in ogni caso l’irrogazione di una sanzione amministrativa, per l’accertata violazione della normativa preposta a tutela della concorrenza.
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