Senato federale nel nome, ma non nella sostanza

Dopo l’approvazione al Senato della Repubblica del disegno di legge costituzionale sulla modifica della forma di Governo , il testo, dal 07 agosto 2012, è passato alla Camera dei Deputati per iniziare l’iter all’interno di questo ramo del Parlamento. Tra gli aspetti più rilevanti, vi è quello della modifica dell’art. 57 della Costituzione concernente il c.d. Senato federale.

C’è da chiedersi, a questo punto, se davvero la nuova formulazione della norma ha comportato una trasformazione “in senso federale” di uno dei due rami dell’Assemblea legislativa. Al di là della riduzione del numero dei senatori (250), non vi sono elementi tali da far gridare a cambiamenti rilevanti. Innanzitutto il Senato continua a essere eletto a “suffragio universale e diretto su base regionale”.

Ora, l’elezione “a base regionale”, come del resto è contemplato anche oggi nell’art. 57, non equivale a collegare i senatori alle Regioni.
Essa incide soltanto sulla legislazione elettorale, escludendo cioè la possibilità che, nelle elezioni del Senato, possa essere utilizzato il collegio unico nazionale. E’ questa, tra l’altro, la ragione per la quale l’attribuzione del premio di maggioranza (secondo l’attuale disciplina contenuta nel Porcellum) deve avvenire in sede regionale (e non nazionale come per la Camera).
Anche la seconda regola presente nell’attuale art. 57 e riprodotta nel testo novellato, ossia il numero minimo di senatori per ciascuna circoscrizione regionale, non è in grado di assicurare una rappresentanza equilibrata delle Regioni.La circostanza secondo la quale, si legge nel nuovo art. 57, la legge dello Stato “garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori” non è certamente sufficiente, anche per la genericità della formulazione, ad evitare squilibri tra Regioni più abitate e Regioni meno abitate. Il che significa, stando ad una proiezione del prof. Giovanni Guzzetta dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che, mentre alla Valle d’Aosta/Valleè d’Aoste spetterebbe un solo seggio, alla Lombardia ne toccherebbero 22.

Manca, pertanto, una vera immissione delle entità sub-statali (Regioni ed enti locali territoriali) nei processi decisionali centrali, a nulla valendo l’attribuzione al Senato di funzioni tipiche degli omologhi organi presenti nei sistemi veramente federalisti (molto più interessante, a riguardo, la “bozza Violante” della XV legislatura).
La partecipazione di un “rappresentante di ogni Regione, eletto tra i propri componenti, all’inizio di ogni legislatura regionale, da ciascun Consiglio o Assemblea regionale” (art. 57, comma 4, del nuovo testo) non può definirsi determinante, sia perché la stessa novellata norma costituzionale stabilisce la loro non appartenenza al Parlamento, e quindi anche al Senato, sia perché, pur disponendo “del diritto di voto sulle materie di legislazione concorrente ovvero di interessi degli enti territoriali”, la loro partecipazione è limitata, sul piano degli effetti e delle modalità del voto, a quanto il regolamento parlamentare detterà in proposito.

In altre parole: “sotto il vestito, niente…”.

Daniele Trabucco

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