In realtà, la lettura del parere potrebbe portare a definire “macigni sulla strada della trasparenza” le maggiori garanzie a tutela delle persone che il Garante ha richiesto.
Che sui siti web della PA non debbano essere mai diffusi dati sulla salute e sulla vita sessuale appare quasi scontato. Così come è sacrosanto che debbano essere esclusi dalla pubblicazione i dati identificativi dei destinatari dei provvedimenti dai quali si possano ricavare dati sullo stato di salute.
Ma la discussione si complica di fronte alla previsione dello schema di decreto (articolo 4, comma 1), che stabilisce che “la pubblicazione dei dati personali avvenga attraverso i siti istituzionali e secondo modalità che ne consentano l’indicizzazione e la rintracciabilità mediante motori di ricerca”.
Secondo l’Autorità, sarebbe opportuno rendere “rintracciabili i dati personali (non sensibili e/o giudiziari) oggetto di pubblicazione solo con motori di ricerca interni ai siti, posto che un obbligo indifferenziato e ampio, come quello previsto dalla norma, appare contrario al principio di proporzionalità nel trattamento dei dati personali rispetto alle specifiche finalità di trasparenza di volta in volta perseguite ….” e “incide negativamente sull’esigenza di avere dati esatti, aggiornati e contestualizzati”.
Le funzionalità di ricerca interne ai siti – aggiunte l’Autorità – “assicurano accessi maggiormente selettivi e coerenti con le finalità di volta in volta sottese alla pubblicazione, garantendo nel contempo la conoscibilità sui siti istituzionali delle informazioni che si intende mettere a disposizione del pubblico”.
Giusto, dirà qualcuno!
Ma se il dato non è riservato (e quindi pubblicabile), perché limitarne la fruizione ad esperti di caccie al tesoro informatiche?
Dettagli, dirà qualcun altro!
Punti di vista …..ma sugli obblighi di trasparenza relativi ai titolari di incarichi politici o di carattere elettivo sembra essersi davvero abbattuta la scure del Garante.
Lo schema di decreto estende(va) gli attuali obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, disponendo la pubblicazione via web (e non più solo in apposti bollettini) di numerosi documenti di natura patrimoniale, anche se relativi al coniuge non separato, ai figli ed ai parenti entro il secondo grado di parentela (ossia estendendo l’ambito di applicazione dell’attuale legge ai figli non conviventi, ai fratelli e ai genitori del titolare dell’incarico pubblico).
Tali novità, a giudizio dell’Autorità, sarebbero sproporzionate rispetto alle finalità di trasparenza che lo stesso provvedimento normativo intende perseguire: “Si consideri, infatti, l’invasività della pubblicazione mediante diffusione sul web, rispetto, peraltro, a una massa enorme di informazioni che in alcuni casi possono rivelare aspetti, anche intimi, della vita privata delle persone, soprattutto se ci si riferisce al coniuge, ai figli e ai parenti, che sono estranei all’incarico pubblico”. “Per quanto riguarda i soggetti “terzi” rispetto all’incarico pubblico – prosegue il Garante – è necessario circoscrivere il contenuto delle dichiarazioni sulla situazione patrimoniale ed assicurare che il consenso alla pubblicazione dei dati sia un consenso effettivamente libero e reso in assenza di condizionamenti. Infatti, poiché si prevede che venga data “evidenza al mancato consenso” alla pubblicazione delle dichiarazioni, vi è il rischio concreto che, in sede di applicazione, la norma non persegua, di fatto, la finalità di trasparenza cui tende, ma esponga, di converso, tali soggetti a pericolose stigmatizzazioni ove non esprimano il consenso alla pubblicazione”.
La trasparenza, quando è troppa, storpia….sembrerebbe dire l’Autorità….. E voi che ne dite? E, soprattutto, che ne dirà il Ministro alle prese con le pressioni delle piazze “grilline”?
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