Di fronte, infatti, alla composizione di così eminenti personalità e professori universitari del Governo, tutti avevamo avuto una sensazione come di inferiorità e di impreparazione. Nessuno di noi si era immaginato capace di concepire e realizzare una manovra che, addirittura, dopo anni e anni di vana attesa, potesse congiungere rigore, equità e crescita.
Chi per anni ha presieduto un’Università come la Bocconi, chi ha svolto altissimi incarichi di docente universitario era visto come depositario di quella scienza e conoscenza tali da poter realizzare una manovra che finalmente, con algoritmi ed alchimie, quadrasse l’impossibile cerchio.
E’, tutto sommato, rasserenante constatare che, al contrario, la manovra sia piattamente simile a tantissime altre che l’hanno preceduta.
Ciò ci fa sentire umanamente più vicine ai ministri “bocconiani”, in fondo non così diversi, superiori, imperscrutabili e salvifici.
Insomma, non ci voleva una laurea alla Bocconi per sfornare una manovra di 30 miliardi lordi complessivi, dei quali 17 miliardi basati sulle entrate. Qualsiasi famiglia in difficoltà economica, anche se nessun suo componente abbia non solo la laurea alla Bocconi, ma persino la terza media, sa perfettamente che se riesce ad incrementare le entrate, ottiene un ripianamento dei conti e dei debiti.
In fondo, anche la reazione favorevole dei mercati, con la riduzione del famigerato spread a 370 punti ci conforta. Essa, infatti, è la dimostrazione palpabile del fallimento assoluto e totale delle politiche liberiste, che da 20 anni a questa parte hanno tentato di trionfare, imponendo il loro giogo sulle società europee. Secondo i neo liberisti occorreva uno Stato più “leggero”, con più servizi liberalizzati e privatizzati e meno tasse.
La manovra “salva Italia” è la negazione di tutto ciò, intrisa com’è di incrementi di imposte, dirette e indirette, addirittura con l’incremento dell’Iva come salvaguardia nel caso in cui le manovre di risparmio o rilancio dell’economia non dovessero funzionare. Insomma, il messaggio è che sono le tasse, le entrate statali la risorsa su cui uno Stato può sempre contare per garantire l’equilibrio di bilancio. Anche i mercati, dunque, scoprono l’acqua calda.
Consueto, noto, rassicurante è anche il metodo col quale questa manovra nuova, che sa tanto d’antico, racimola le risorse, incidendo sempre, solo, sui “noti”. I proprietari di case, i pensionati, i consumatori esposti al pericolo di un incremento dell’Iva, che in un anno potrebbe essere del 3%. E l’Iva, come noto, è un’imposta regressiva, dunque tale da colpire maggiormente i redditi più bassi, rispetto a quelli più elevati. Per altro, fino al 2014 i pensionati con una ricca pensione di ben oltre 960 euro (960 euro) non saranno protetti né dai rincari di Iva e accise, né dalla sicura spinta inflazionistica conseguente.
E’ una manovra “senatoriale”, anche nella poca fantasia degli acronimi, che estende alla prima casa l’Ici, resuscita l’Ice (Istituto del commercio estero) ed istituisce l’Ace.
La saga degli enti che un po’ vengono eliminati perché inutili e qualche mese dopo resuscitano dalle proprie ceneri come l’araba fenice è veramente particolare. L’istituto del commercio estero, soppresso qualche manovra economica fa, forse non era così inutile per la competitività delle imprese all’estero. E, dunque, rieccolo rimesso a nuovo, con i suoi costi, il suo personale, i suoi incarichi. In compenso, si elimina l’Enit (agenzia nazionale del turismo), le cui funzioni saranno svolte dal dipartimento del turismo, a sua volta risorto, non si sa quanto costituzionalmente, dall’oblio di un vetusto referendum che aveva abrogato il Ministero del turismo.
Parte del leone, in questa saga, fanno ovviamente le province, messe sull’altare a mo’ di libagione per il dio-popolo, da ammansire in qualche modo per ingoiare l’amara pillola. Dalla frettolosa privazione di funzioni e competenze delle province non si ricaveranno più di 500 milioni (su 30 miliardi), stando ai comunicati molto bocconiani riguardanti la manovra, per l’evidente ragione che tali funzioni non potevano e non possono essere soppresse, ma solo spostate verso altri enti. Anche se l’intervento sulle province è sostanzialmente ininfluente sulla portata economica della manovra, essa è una scelta simbolica, al pari del bollo sulle transazioni finanziarie e delle gabelle su yacht, aerei ed elicotteri privati e della flebile, timida e pudìca carezza ai capitali “scudati”, cioè i denari illecitamente sottratti al fisco per anni e anni e rientrati in Italia al prezzo scontato del 5% di tassazione, che viene incrementato, udite udite, nientemeno che di un ulteriore 1,5%. Roba da far rabbrividire i proprietari di cotanta ricchezza. In confronto, il blocco dell’indicizzazione per i pensionati è, ovviamente, uno scherzo…
Paradossalmente, la manovra “salva Italia” è molto più federalista di quanto qualche forza politica ascesa all’Aventino ritenga. Infatti, la reintroduzione dell’Ici-Imu, la riconfigurazione della tariffa rifiuti, l’incremento dell’addizionale Irpef alle regioni, l’ennesimo taglio dei trasferimenti agli enti locali, rende necessariamente questi molto più autonomi nella gestione delle entrate e delle connesse spese. Tutto quanto il “federalismo fiscale” non era riuscito ad ottenere in tre anni, lo hanno realizzato i professori in 17 giorni.
Ancora, non ci traumatizza la vera innovazione che si sarebbe potuto (e forse dovuto) inserire nella manovra, cioè qualche disposizione concretamente in grado di far emergere e contrastare l’evasione e l’elusione.
Sarebbe stato troppo, per noi, vedere un articolo di legge che azzerasse, d’un colpo, tutti i codicilli che consentono mille scappatoie legali, ma pur sempre finalizzate a far pagare meno tasse del dovuto, per eludere l’imposizione. Infarti, apparizioni mistiche e asini che volano si sarebbero verificati se fossero stati seriamente tassati i grandi patrimoni, se si fosse pensato di chiedere la dichiarazione dei redditi come documento per accedere alle prestazioni sanitarie, scolastiche e di altro tipo, fissando una soglia minima un po’ più alta di quella dichiarata da gioellieri e bottegai, se si fosse deciso di attivare il contrasto di interessi, permettendo a noi cittadini non bocconiani di detrarre dal reddito significative percentuali dei prezzi per servizi, scontrini e fatture di varia natura.
Ci è apparso, invece, più normale che a fronte dell’abbassamento a 1000 euro della soglia per la tracciabilità dei pagamenti e dell’esenzione da costi bancari connessi alle operazioni Pos, in modo da favorire commercianti e professionisti, si preveda un incremento delle commissioni per i prelievi di contante al bancomat. Sì, proprio quelli che usano fare sempre loro, proprio quei pensionati da 960 euro che pagamenti da 1000 euro, come dimostra la loro pensione, proprio non possono permetterseli e quindi, reprobi, continueranno ad usare il contante.
Ecco, da oggi tutti noi possiamo sentirci, come dire, un po’ più bocconiani. Le nostre vaghe conoscenze economiche e finanziarie, tutto sommato, non sono così negative. Forse, tutti noi un 18 in scienza delle finanze, magari tirato, di fronte alla commissione d’esame dei professori al Governo, riusciremmo a ottenerlo.
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