E in base a questa dura lex, la quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Aldo Grassi, ha condannato in via definitiva a 14 mesi di reclusione il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti.
Ricorso rigettato, condanna alle spese processuali più rimborso alla parte civile delle spese da questa sostenuta nel procedimento davanti alla Suprema Corte. Impietoso il verdetto. Talmente duro che è stata la stessa Cassazione a diffondere una nota stampa in cui dà la spiegazione di una condanna tanto rigida.
Come noto, il procedimento giudiziario che vedeva imputato l’ormai ex direttore de Il Giornale ruota intorno ad un articolo ritenuto diffamatorio nei confronti del giudice tutelare di Torino Giuseppe Cocilovo, pubblicato su Libero nel 2007 sotto lo pseudonimo Dreyfus e riguardante un presunto aborto di una ragazza tredicenne. Ciò procurò a Sallusti un’accusa per diffamazione aggravata.
Confermata pertanto la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011 (in primo grado Sallusti era stato invece condannato a 5mila euro di multa).
Impeccabile, la ratio argomentativa seguita dalla Corte. Nella nota stampa firmata dal consigliere Raffaele Botta e volta a precisare aspetti della vicenda «non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi», si sottolinea la falsità della notizia contenuta nell’articolo incriminato.
Nel comunicato si legge che la notizia era «falsa (la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa)».
Secondo il magistrato, dalla sentenza emerge in maniera chiara come «non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da La Stampa il 17 febbraio 2007) era già stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima la pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano Libero) da quattro dispacci dell’agenzia Ansa e da quanto trasmesso dal Tg3 regionale e dal radiogiornale (tant’è vero – prosegue la nota – che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani tranne Libero ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)». Infine, è emersa «la non identificabilità dello pseudonimo Dreyfus e quindi la diretta riferibilità del medesimo al direttore del quotidiano».
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