Il giudice ambrosiano, in ordine a quanto qui rileva, da una parte assume come non sia effettivamente esigibile, neppure nei confronti di un prestatore di servizi di hosting attivo, la verifica preventiva del materiale immesso quotidianamente dagli utenti e ciò per la complessità tecnica che un tale controllo richiederebbe anche in relazione al possibile conflitto “con forme di libera manifestazione del pensiero o di utilizzazione di contenuti protetti dal diritto d’autore per i quali possa fondatamente richiamarsi una delle ipotesi di utilizzazione libera”, dall’altra dà rilievo all’informazione pervenuta al provider a mezzo intimazione, rimasta senza seguito, circa l’esistenza di diritti vantati da terzi, evidenziandone la capacità a determinare in capo al detto provider l’obbligo di attivarsi ancora prima della ricezione da parte dell’autorità giudiziaria o amministrativa dell’ordine di rimozione del contenuto illecito.
Orbene, si constata facilmente come sul presupposto da ultimo segnalato ed in particolare sulla sostanziale inattività del gestore rispetto alla segnalazione della presenza di numerosi contenuti audiovisivi in violazione dei diritti d’autore eseguita dal titolare con diffida del marzo 2009 scaturisca, a giudizio del Tribunale milanese, “un positivo riscontro circa la colposa responsabilità di Yahoo! Italia s.r.l. – quantomeno a partire dalla data di ricezione di detta diffida e per i programmi ivi indicati nonché dalle successive segnalazioni eseguite in corso di causa mediante il deposito di ulteriori perizie tecniche – quanto all’indebita riproduzione dei contenuti in Yahoo! Video ad essa facente capo, ancorché autonomamente immessi da utenti e limitatamente ad essi”.
Il fondamento su cui si erge un tale dictum è riscontrabile, nel superamento, a detta del medesimo Tribunale, della figura neutrale e passiva dell’hosting provider, ossia di quel soggetto economico che limitava il proprio raggio d’azione al processo tecnico di “fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione”. Il tutto avveniva tramite un’opera “di ordine meramente tecnico, automatico e passivo”, ove il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosceva, né controllava le informazioni trasmesse o memorizzate.
Nel totale sovvertimento dello stato delle cose, la stessa direttiva 2000/31/CE – di cui il d. lgs. 70/03 costituisce recepimento nell’ordinamento interno – risulta, nel “considerando” 42, ispirata a quello schema, sicché pure l’esenzione d’ordine colposo va interpretata per ciò che è, ossia il retaggio di un prototipo gestionale non più in linea coi tempi, in quanto il requisito base (vale a dire il carattere neutrale dell’attività di hosting) è travolto dalla evoluzione della rete informatica mondiale. Che sia necessaria una revisione della direttiva, in termini di aggiornamento e/o integrazione delle ipotesi di responsabilità, nonché delle condizioni di esonero dalla stessa e ciò alla luce delle nuove funzionalità offerte, è da più parti auspicato (Bugiolacchi, Evoluzione dei servizi di hosting provider, conseguenze sul regime di responsabilità e limiti dell’attuale approccio – case by case, in Resp. civ. prev., 2013, 6, 1997).
In definitiva, “la situazione attuale rende evidente che le modalità di prestazione di tale servizio – ormai del tutto comuni ai soggetti che svolgono attività analoghe – si sono distaccate dalla figura individuata nella normativa comunitaria, mentre i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico”. In siffatto contesto emerge “se non un vero e proprio content provider, soggetto cioè che immette contenuti propri o di terzi nella rete e che dunque risponde di essi secondo le regole comuni di responsabilità, una diversa figura di prestatore di servizi non completamente passiva e neutra rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (cd. hosting attivo), organizzazione da cui trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione (organizzata) di tali contenuti”.
Queste la ratio e la sostanza di un decisum sovvertito in appello dalla pronuncia qui annotata; un decisum che, come si è fatto osservare, si pone nel solco di un consolidato indirizzo del giudice “meneghino” (cfr., in argomento, Saraceno, Note in tema di violazione del diritto d’autore tramite Internet: la responsabilità degli Internet Service Provider, in Riv. dir. ind., 2011, 6, 375; l’Autrice, nell’auspicare anch’essa un mutamento del quadro normativo, cita come espressione del medesimo indirizzo Trib. Milano, 7 giugno 2011, alla quale accostiamo la più recente Trib. Milano, 25 maggio 2013, su cui altresì infra); un decisum, che manifesta una decisa tendenza responsabilizzante a carico del gestore il quale, comunque consapevole della presenza sul sito di materiale sospetto, si astenga dall’accertarne la provenienza e di rimuoverlo (in tal senso, già Trib. Catania, 29 giugno 2004, in Resp. civ., 2005, 426, con nota di Cassano-Cimino; una tendenza che, come ricorda Saraceno, trovava terreno fertile nella più accreditata dottrina, antecedentemente allo stesso recepimento in Italia della direttiva sul commercio elettronico: Pomante, Responsabilità dell’Internet Service Provider, in Diritto delle nuove tecnologie e dell’Internet, a cura di Cassano, Milano, 2002).
Tale quadro, dottrinale e giurisprudenziale, è stato, dunque, rovesciato dalla Corte territoriale ambrosiana, la quale ha integralmente riformato la pronuncia resa in prime cure, accogliendo “in pieno” il gravame proposto da YAHOO! ITALIA s.r.l. e da YAHOO!INC., mandandoli assolti dalle domande proposte dal titolare dei diritti d’autore RTI s.p.a.
Ovviamente non concordiamo con tali conclusioni a causa dello svolgimento logico-giuridico che le supporta. È l’interpretazione della normativa in materia, alla luce dell’evoluzione di cui si diceva e di cui è intrisa la sentenza del primo giudice, a non convincere (la nostra disciplina, lo si è anticipato, è parametrata su quella europea). Partiamo allora dal seguente presupposto: le eccezioni alle deroghe alla responsabilità civile previste dai “considerando” 43 e 44 della direttiva 2000/31/CE sono applicabili esclusivamente ai servizi di mere conduit e di caching ed in nessun caso sono riferibili ai prestatori di servizi consistenti nella memorizzazione di informazioni, hosting (rispettivamente: artt. 12, 13, 14 della menzionata direttiva, ai quali nell’ordine corrispondono gli artt. 14, 15 e 16 del d. lgs. 9 aprile 2003, n.70, mentre gli artt. 15, da un canto, e 17, dall’altro, stabiliscono per le tre fattispecie l’assenza dell’obbligo generale di sorveglianza, con salvezza delle ipotesi previste nel paragrafo 2 del primo, nonché nei commi 2 e 3 del secondo).
Il servizio Yahoo Video consta anche di attività di memorizzazione di dati (hosting) ma certamente non fornisce accesso ad una rete di comunicazione (mere conduit): ne segue che l’applicabilità del regime di limitazione di responsabilità al caso che ci interessa andrà valutata con esclusivo riferimento alla configurabilità in capo a Yahoo! Italia di una sua natura neutrale o passiva nello svolgimento della sua attività.
La Corte d’Appello, muovendo dalla errata premessa secondo cui Yahoo! Italia presta un’opera di intermediazione qualificabile “in ogni caso” come hosting nel senso tradizionale di mera “ospitalità” di dati, senza proporre altri servizi di elaborazione dei dati medesimi, sì da esulare nelle sue caratteritiche dal prototipo di hosting provider attivo (una nozione, quest’ultima, che tra l’altro la stessa Corte bolla come “fuorviante”), ha ripetutamente affermato il principio secondo cui a tale gestore può imputarsi la memorizzazione di informazioni illecite solo se di ciò sia reso edotto su iniziativa di terzi (tra cui i titolari dei diritti d’autore) e solo se, ciononostante, non si sia mobilitato per rimuoverle. Vi è, invero, un “fugace” richiamo all’acquisizione di un’autonoma consapevolezza come fonte responsabilizzante che si verifica quando il provider si sia per sé reso conto delle attività illecite senza nulla facere: in tal caso, giusto il tenore del “considerando” 46 della direttiva n. 31 del 2000, l’addebitabilità del comportamento deve egualmente prender vita, pur se non occasionata da un’informativa esterna rimasta al palo. A tale ipotesi il Collegio non sembra però “credere” granché, non offrendogli il rilievo che meriterebbe e ciò ha il suo peso nell’economia generale della decisione da esso resa.
Orbene, dal testo delle motivazioni qui annotate si legge che:
– “l’unica ipotesi di responsabilità ipotizzabile concerne i casi in cui l’hosting provider […] sia stato informato dell’illiceità del contenuto dei video caricati e non li abbia, ciononostante, rimossi dal portale” (punto 21);
– “tale obbligo sorge, sempre nel rispetto del principio di libertà di informazione, solo in seguito a un controllo successivo della liceità dei dati caricati da terzi ad attivazione precipua del soggetto titolare dei diritti d’autore o dell’autorità garante, e quindi in funzione special-preventiva di rimozione dei contenuti illeciti segnalati” (punto 21);
– nell’interferenza con altri valori, quale la tutela del diritto d’autore, è ravvisabile solo un “obbligo di controllo specifico e di rimozione che si impone all’hosting provider, allorquando viene reso edotto del contenuto illecito di specifici caricamenti effettuati da terzi fruitori del servizio, sì da fargli perdere la posizione di iniziale neutralità rispetto affermato il principio secondo cui tale intermediario può essere riconosciuto responsabile delle informazioni illecite memorizzate solo se di ciò allo spazio da esso gestito, ma aperto al pubblico” (punto 23).
Di seguito, i riferimenti normativi europei che rilevano ai fini che qui interessano.
Il “considerando” 46 della direttiva 2000/31/CE – espressamente rivolto ai prestatori del servizio di hosting – stabilisce che “Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite”.
Il “considerando” 48 direttiva cit. chiarisce che “La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite”.
L’articolo 14, paragrafo 1, delle medesima direttiva – rubricato “Hosting” – prevede che “1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.
Dal combinato disposto di tali norme emerge che il prestatore del servizio di stoccaggio di informazioni sarà responsabile delle informazioni illecite archiviate tutte le volte in cui – pur in assenza di qualsiasi segnalazione di terzi – “si renda conto” o “sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità” delle medesime informazioni.
La valutazione circa la possibilità che l’intermediario sia “al corrente” dell’illegalità dei dati memorizzati andrà condotta unicamente avendo riguardo al “dovere di diligenza che è ragionevole” attendersi da un operatore del settore e naturalmente l’intermediario non potrà beneficiare delle deroghe al regime ordinario di responsabilità tutte le volte in cui i dati memorizzati siano “manifestamente” illeciti.
Conformemente alla norma europea, il legislatore nazionale ha stabilito che “il prestatore non é responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione é illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione” (art. 16 D. Lgs. n. 70/2003).
La Corte UE ha già chiarito il significato della norma di riferimento in ordine alla circostanza che il prestatore del servizio di memorizzazione non può beneficiare delle deroghe al regime ordinario di responsabilità se “è al corrente” di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’informazione memorizzata tenuto conto del “dovere di diligenza che è ragionevole” attendersi da tale operatore (punti 120-122 e 124) Corte UE C-324/09 (L’Oréal c. eBay).
– “Potendo la causa principale comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, compete al giudice del rinvio esaminare se la eBay sia stata, riguardo alle offerte in vendita di cui trattasi e nei limiti in cui queste ultime hanno arrecato pregiudizio a marchi della L’Oréal, «al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione». Con riferimento a quest’ultima circostanza, è sufficiente, affinché il prestatore di un servizio della società dell’informazione non possa fruire dell’esonero dalla responsabilità previsto all’art. 14 della direttiva 2000/31, che egli sia stato al corrente di fatti o di circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità di cui trattasi e agire in conformità del n. 1, lett. b), di detto art. 14”;
– “Inoltre, affinché non siano private del loro effetto utile, le norme enunciate all’art. 14, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/31 devono essere interpretate nel senso che riguardano qualsiasi situazione nella quale il prestatore considerato viene ad essere, in qualunque modo, al corrente di tali fatti o circostanze”;
– “Sono quindi contemplate, segnatamente, le situazioni in cui il gestore di un mercato online scopre l’esistenza di un’attività o di un’informazione illecite a seguito di un esame effettuato di propria iniziativa […]”;
– “Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al punto precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato online, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14”.
La Corte UE ha dunque confermato i principi già resi espliciti dal testo normativo: (i) il “prestatore intermediario” non può beneficiare delle deroghe alla responsabilità ordinaria se “è effettivamente al corrente” della illiceità dell’informazione; (ii) egli, quando il suo comportamento potrebbe giustificare richieste risarcitorie, non può beneficiare delle dette deroghe se “è a conoscenza” di fatti o di circostanze che “rendono manifesta” la natura illecita delle informazioni memorizzate; (iii) tanto si verifica in “qualsiasi situazione” in cui l’operatore “in qualunque modo” venga a conoscenza di tali circostanze, anche a seguito di un esame fatto “di propria iniziativa”; (iv) tale valutazione andrà condotta accertando se un “operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità” delle informazioni memorizzate.
Dall’analisi delle fonti normative in precedenza esaminate – viste sotto i riflettori della sentenza della Corte UE C-324/09 – emerge chiaramente che la Corte d’Appello ha totalmente errato ad affermare che “l’unica ipotesi di responsabilità ipotizzabile concerne i casi in cui l’hosting provider […] sia stato informato dell’illiceità del contenuto dei video caricati” o “sia reso edotto” di ciò dal titolare dei diritti.
Parimenti errato è affermare che l’obbligo di attivazione dell’intermediario per la rimozione dei materiali illeciti memorizzati sorge “solo in seguito a un controllo successivo della liceità dei dati caricati da terzi” (parte finale del punto 21). L’enunciato, non solo è errato, ma pare contraddetto dagli stessi ragionamenti altrove svolti dalla stessa Corte territoriale (v. nota 3).
La corretta applicazione delle norme di legge da parte del Tribunale di Milano.
Il giudice di primo grado aveva fatto corretta applicazione dei considerando 46 e 48 e dell’articolo 14 della direttiva 2000/31/CE. Muovendo dall’esame delle modalità operative attraverso cui il servizio Yahoo Video consentiva agli utenti di cercare e di individuare i video contraffatti di RTI, sia attraverso il proprio “motore di ricerca”, che attraverso la funzione denominata “video correlati”, il Tribunale di Milano aveva infatti correttamente accertato che:
– Yahoo! Italia è intervenuta attivamente nella complessa organizzazione del servizio contestato posto che “oltre a predisporre un motore di ricerca che consente di individuare i contenuti ricercati tramite parole-chiave […] presenta come servizio aggiuntivo anche i c.d. “video correlati” […] quale ulteriore e specifica attività di indicizzazione dei contenuti video”;
– “va peraltro rilevato che la mancata specifica individuazione dei filmati contestati non risultava elemento atto ad impedire alla convenuta ogni (dovuta) attività di verifica e controllo, tenuto conto che essa avrebbe potuto agevolmente essere svolta proprio utilizzando gli stessi strumenti informatici posti a disposizione dei visitatori di Yahoo! Video per la ricerca di contenuti tramite le parole-chiave riproducenti i titoli delle menzionate trasmissioni”;
– tutto ciò considerato, “la sostanziale inattività della parte convenuta rispetto alla segnalazione della presenza di numerosi contenuti audiovisivi [é] comportamento idoneo a determinare un positivo riscontro circa la colposa responsabilità di Yahoo Italia s.r.l. quantomeno a partire dalla data di ricezione di detta diffida e per i programmi ivi indicati”;
– ed infatti l’uso di tali strumenti avrebbe consentito a Yahoo! Italia di individuare esattamente gli stessi materiali illeciti individuati da RTI posto che a tali fini quest’ultima ha utilizzato unicamente gli strumenti predisposti dalla stessa resistente: “I risultati sarebbero stati verosimilmente gli stessi di quelli proposti dall’attrice con le sue consulenze tecniche che non hanno comportato l’esame analitico di tutto il materiale video custodito nei server delle convenute, ma il semplice utilizzo del motore di ricerca da essa fornito a tutti gli utenti (v. docc. 4 7, 67, 67, 83 R.T.I.) e pertanto nessuna impossibilità tecnica o di fatto avrebbe impedito alla convenuta di mantenere un comportamento rispettoso dei diritti spettanti all’attrice, anche per la tutela dei quali peraltro la stessa Yahoo! Italia s.r.l. aveva autonomamente predisposto un apposito servizio di segnalazione abusi, come innanzi riferito, che segnalava un impegno – non rispettato alla verifica della legittimità dei contenuti immessi autonomamente dagli utenti”.
Il Tribunale di Milano aveva quindi correttamente accertato “la colposa responsabilità di Yahoo! Italia” proprio in considerazione della complessa organizzazione dei servizi dalla stessa resi e degli strumenti tecnici a sua disposizione che certamente avrebbero consentito alla medesima di venire “a conoscenza della presenza di fatti o circostanze” rivelatrici della natura illecita dei detti contenuti: tale valutazione infatti si pone in piena sintonia col dettato del considerando 48 della direttiva cit. e con la sentenza C-324/09 (punti 121, 122 e 124) in quanto era certamente “ragionevole” attendersi da Yahoo! Italia –ove si fosse comportata da “operatore economico diligente”-, che fosse a conoscenza della presenza sul proprio sito dei video di RTI; in altri termini, gli strumenti ed i servizi nella esclusiva disponibilità di Yahoo! Italia non potevano che condurre ad un giudizio di “colposa responsabilità” della resistente in quanto essa certamente disponeva di strumenti idonei a rivelare la natura illecita dei prodotti audiovisivi estratti dai programmi televisivi di RTI e da essa pubblicati; ciò anche e soprattutto a seguito della prima diffida trasmessa dalla odierna ricorrente.
Stante quanto sopra, nessun fondamento normativo hanno le affermazioni della Corte d’Appello di cui ai punti 21 e 23 della sentenza impugnata, ancor più se si considera che lo stesso giudice dell’appello ha espressamente riconosciuto che Yahoo! Italia disponeva di “sofisticate tecniche di intercettazione del contenuto dei file caricati” e di “svariate modalità di gestione del sito”.
Ormai è principio acquisito in dottrina e giurisprudenza, a meno di non voler alimentare sacche di irresponsabilità, che : (i) il “prestatore intermediario” che rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 16 D. Lgs. n. 70/2003 non può beneficiare delle deroghe alla responsabilità ordinaria ivi previste se “è al corrente” o se “è a conoscenza” di fatti o di circostanze che rendono manifesta la natura illecita delle informazioni memorizzate; (ii) tanto si verifica in “qualsiasi situazione” in cui l’operatore “in qualunque modo” venga a conoscenza di tali circostanze e non solo su specifica segnalazione del titolare dei diritti autorali violati; (iii) tale accertamento andrà condotto valutando ciò che è “ragionevole” attendersi da un “operatore economico diligente”.
Conseguentemente, posto che –come già accertato dal primo Collegio giudicante – Yahoo! Italia aveva predisposto una serie di strumenti che le avrebbero certamente consentito ogni “(dovuta) attività di verifica e controllo” e che, per tale via, essa avrebbe potuto individuare “agevolmente” i materiali contraffatti (“proprio utilizzando gli stessi strumenti informatici posti a disposizione dei visitatori di Yahoo! Video per la ricerca di contenuti tramite le parole-chiave riproducenti i titoli delle menzionate trasmissioni”), ne segue che, anche nella denegata ipotesi in cui si volesse attribuire a Yahoo! Italia la qualifica di “prestatore intermediario” ai sensi dell’art. 16 D. Lgs. n. 70/2003, la resistente comunque non ha – e non doveva avere neppure per i giudici della Corte territoriale – diritto di beneficiare delle deroghe alla responsabilità civile ivi previste.
Così sul punto la massima di Trib. Milano, 9 settembre 2011, n. 10893, in Riv. dir. ind., 2011, 6, 364: “L’associazione di messaggi pubblicitari ai contenuti immessi in rete dagli utenti (i cui proventi concorrono a finanziare l’attività del prestatore di servizi), la regolamentazione contrattuale con cui il prestatore medesimo si riserva determinati diritti sui materiali caricati sulla propria piattaforma, il servizio di segnalazione dell’eventuale illiceità del contenuto immesso (visibile come link sotto ogni video pubblicato in rete), la predisposizione di un servizio di visualizzazione (non ricercata dal visitatore, ma offerta in via automatica) di altri video correlati a quello specificamente prescelto dall’utente, costituiscono tutti elementi che portano a differenziare la posizione di tale prestatore di servizi da quello puramente addetto alla fornitura di uno spazio per la memorizzazione delle informazioni trasmesse dagli utenti ed alla visualizzazione delle stesse da parte di terzi. In particolare, detti elementi contribuiscono a qualificare i sopra menzionati servizi come di “hosting attivo”, così esorbitando da qualsiasi posizione di pretesa neutralità del prestatore e rendendo inapplicabile la disciplina di cui all’art. 16 d.lg. n. 70 del 2003 a favore di una valutazione della sua condotta secondo le comuni regole della responsabilità civile”.
La sovrapponibilità linguistico-concettuale che sub specie caratterizza le due legislazioni balza evidente dalla lettura della definizione delle tre considerate fattispecie: mere conduit consiste “nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione” (così, alla lettera, il paragrafo 1 dell’art. 12 della direttiva n. 31 del 2000 ed il comma 1 dell’art. 14 del d. legs. n. 70 del 2003); caching consiste “nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio” (egualmente alla lettera il paragrafo 1 dell’art. 13 della direttiva n. 31 del 2000 ed il comma 1 dell’art. 15 del d. legs. n. 70 del 2003); hosting consiste “nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio” (sempre corrispondenza testuale del paragrafo 1 dell’art. 14 della direttiva n. 31 del 2000 con il comma 1 dell’art. 16 del d. legs. n. 70 del 2003).
Ricorre la “mutazione genetica” in hosting attivo, ossia la trasformazione da Fornitore di Accesso in Internet in Servizio di elaborazione dei dati in Internet Provider-ISP (in tali termini viene definita la detta mutazione al punto 25 del presente decisum), quando il prestatore di servizi predisponga una organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti, anche in stretta connessione con la visualizzazione dei messaggi pubblicitari, ed abbia altresì un potere di controllo sui contenuti stessi (anche se su segnalazione) e di eventuale loro rimozione, ponendo così in essere attività che vanno ben oltre la mera fornitura all’utente di uno spazio di memorizzazione di contenuti e di un software di comunicazione che ne consenta la visualizzazione a terzi, quale si verifica nell’hosting passivo: Trib. Milano, sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 7 giugno 2011, n. 7680, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, 3, 373.
In particolare si legge al punto 38 delle sue motivazioni: “deve ritenersi che, ragionando sulla base delle argomentazioni contenute nelle decisioni delle Corti europee […], la nozione di hosting provider attivo risulti oggi sicuramente fuorviante e sicuramente da evitare concettualmente in quanto mal si addice ai servizi di “ospitalità in rete” in cui il prestatore non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti, limitandosi semmai a sfruttarne commercialmente la presenza sul sito, ove il contenuto viene mostrato così come è caricato dall’utente senza alcuna ulteriore elaborazione da parte del prestatore”.
Si tratta, lo si è visto, di un asserto più e più volte ribadito nella pronuncia in oggetto: secondo la legislazione nazionale e dell’Unione europea, “l’hosting provider non ha alcun obbligo di preventivo vaglio dell’effettiva titolarità dei diritti d’’autore posseduti da parte dei singoli soggetti che caricano i video sullo spazio di memoria messo a disposizione” in un’ottica che potremmo definire “passivistica” o di spiccata neutralità, nella misura in cui con essa si intende far passare il principio del massimo rispetto “della libertà di espressione e di informazione nella rete Internet” (punto 21). Nelle successive argomentazioni (cfr. punto 47), il giudice ambrosiano – ed anche questo lo si è visto – non può tuttavia non accostare sul piano responsabilizzante (ed al rigurado cita il “considerando” 46 della direttiva 2000/31) il caso dell’informativa ricevuta a quello della consapevolezza comunque acquisita dell’attività illecità.
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