L’atavica questione delle province continua ancor oggi a scaldare gli animi dei nostri parlamentari.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, l’8 settembre scorso, un disegno di legge costituzionale per la “soppressione di enti intermedi“, ovvero per l’abolizione delle Province, manifestando un decisivo cambiamento di rotta rispetto al precedente orientamento del 5 luglio scorso, allorchè la maggioranza parlamentare si era pronunciata in senso sfavorevole alle proposte abolizioniste avanzate da Italia dei Valori, privilegiando, piuttosto, una soluzione di “razionalizzazione” degli enti in oggetto.
Al termine del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera al disegno di legge costituzionale per introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ha dichiarato: «Una discussione costruttiva e rapida in Parlamento è nell’interesse del Paese».
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, così è intervenuto: «Oggi il governo ha fatto un altro passo importante» con il provvedimento di abolizione delle Province. Il sindaco ha dimostrato soprattutto soddisfazione per l’abolizione «dei consigli provinciali, delle giunte e dei presidenti che effettivamente oggi sono superiori alle necessità del territorio», a suo dire, provvedimento indispensabile «a trovare nuove risorse per i servizi essenziali per i cittadini».
Il ddl approvato l’8 settembre apporta modifiche sostanziali agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132, 133 della nostra Costituzione ed il quadro che ne emerge è quello di un progetto di snellimento finanziario “dei costi complessivi degli organi politici ed amministrativi“.
Esso predispone la nascita di entità sovracomunali (le c.d. “Città metropolitane”), al posto di Province ed enti provinciali delle Regioni a statuto speciale, con l’eccezione delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Ora, vero è che i partiti politici si sono spesso rifiutati di considerare il problema delle Province, in quanto “affamati” di poltrone e risorse utili da sfruttare per coltivare il consenso politico; che tali enti sembrerebbero aver acquisito nel tempo una sempre minore rilevanza rispetto alle necessità della gente; che la figura del Presidente della Provincia è stata eclissata da quella del Presidente della Regione e del Sindaco (maggiormente visibile a livello nazionale l’uno, più facilmente “raggiungibile” l’altro) è vero pure che sotto il profilo di un risparmio per le casse, l’abolizione delle enti intermedi porterebbe con sé pesanti tributi oggi gravanti sui cittadini (considerando, tra l’altro, che gli aiuti statati alle Province non si sono mai rivelati sufficienti a sostenere le spese della Regione); e pur tuttavia si riscontrano non pochi profili di incostituzionalità della riforma annunciata.
2. Palermo
Come si colloca, all’interno del riassetto amministrativo burocratico e costituzionale conseguente alla soppressione delle Province, lo statuto speciale della Sicilia?
La giunta regionale presieduta da Raffaele Lombardo ha appena varato un disegno di legge sul decentramento delle funzioni ai Comuni e la riforma dei Liberi Consorzi comunali, presentata dall’assessore per le Autonomie locali e la Funzione pubblica, Caterina Chinnici.
Al posto delle Province, a partire dal 31 maggio 2013, stando a quanto previsto, sorgerebbero i Consorzi di Comuni; la Regione Sicilia trasferirebbe agli enti locali funzioni importanti, in settori quali, le attività produttive, il commercio e l’artigianato, la famiglia e le politiche sociali, i trasporti, il turismo; inoltre, i dipendenti degli enti sopressi dovrebbero confuire nei suddetti Consorzi.
Si tratta di enti di governo locale che godono di un rapporto diretto con le comunità amministrate, essendone l’espressione, il che pone numerosi sospetti sulla trasparenza che essi dimostrerebbero nei confronti della società civile, la cui rappresentanza deve necessariamente essere elettiva, principio, questo, che verebbe meno nel caso del Consorzi, i cui organi sarebbero scelti tra i Sindaci dei comuni consorziati.
Peraltro, in termini di risparmio, l’abolizione degli organi provinciali non rappresenta affatto una valida soluzione alle spese della Regione, in quanto il risparmio che ne deriverebbe è stato stimato come parecchio esiguo.
Nemmeno nella prospettiva di un migliore coordinamento di governo l’alternativa consortile è una scelta ponderata, poiché si incorrere nel rischio di un marasma istituzionale, dovuto alle evidenti, e comprovate, difficoltà che derivano dalla mancanza di un ente intermedio tra comuni e regioni (i Consorzi sono pur sempre entità sovracomunali), specialmente ove si attribuisse competenza riguardo a vaste aree da amministrare.
3. Rapporti?
Permane, poi, il dubbio sulla compatibilità degli effetti del disegno di legge proposto dal Governatore Lombardo con quelli del ddl di riforma delle autonomie locali approvato la CdM.
Ciò in quanto, diversamente dall’originario art. 15 del D.L. 138 (recante misure di riduzione delle Province sulla base di criteri prettamente quantitativi), l’adozione di una legge costituzionale avrebbe un’incidenza non indifferente sull’autonomia delle Regioni a statuto speciale, posto che lo statuto stesso, anch’esso legge costituzionale, non potrebbe resistere all’introduzione di una legge successiva dello stesso rango.
4. Conclusioni?
Di fatto, non si è data voce in maniera concreta e razionale alle esigenze lamentate dall’elettorato: risparmio e riorganizzazione della pubblica amministrazione, infatti, potrebbero meglio essere raggiunte attenzionando l’efficienza ed efficacia, dunque l’effettiva utilità nel merito, di alcuni enti, evitando, così, inutili sprechi, piuttosto che penalizzando inesorabilmente le Province.
Tali enti pubblici sono certamente di grande utilità, laddove se ne promuova una valorizzazione in termini, appunto, di efficacia ed efficienza. Ciò su cui bisogna lavorare è, dunque, un miglioramento dell’organizzazione istituzionale decentrata; un suo precipuo rilancio. Ma le soluzioni finora prospettate tendono, ahimé, come sempre, a girare intorno ai problemi congiunturali del nostro Stato, anziché risolverli alla radice.
“Al rogo le Province“, si grida! Ma il risparmio lo si potrebbe, in ipotesi, ricavare dal taglio di inutili spese, o di organi superflui, o ancora… nella lotta all’evasione fiscale (qui, però, mi sa che ci addentriamo in un territorio decisamente “delicato”).
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