- Dimissioni, in quanto il soggetto che intende risolvere il contratto di lavoro è il solo dipendente;
- Licenziamento, in cui il soggetto che recede è l’azienda.
Esistono poi tutta una serie di vantaggi rappresentati dalla risoluzione consensuale, tra cui:
- Accesso alla NASPI;
- Decontribuzione delle somme erogate per incentivo all’esodo;
- Mancato rispetto del periodo di preavviso e dell’obbligo di riconoscerne l’indennità sostitutiva;
- Possibilità di interrompere il rapporto a tempo determinato prima della scadenza del termine.
Al tempo stesso, la risoluzione presenta una serie di svantaggi, primo fra tutti la necessità di trovare un accordo con il datore di lavoro.
Analizziamo la questione in dettaglio.
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Risoluzione consensuale: accesso alla NASPI
I dipendenti che risolvono il rapporto per:
- Risoluzione consensuale intervenuta in sede “protetta”;
- In alternativa, a seguito del rifiuto del lavoratore di essere trasferito ad altra sede della stessa azienda, distante oltre cinquanta chilometri dalla residenza o raggiungibile in ottanta minuti o oltre con i mezzi pubblici;
possono inoltrare domanda all’INPS, in presenza degli altri requisiti richiesti, al fine di ottenere l’indennità di disoccupazione NASPI.
Le ulteriori condizioni per accedere al sussidio sono:
- Tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’interruzione del rapporto;
- Trenta giornate di effettivo lavoro nei dodici mesi che precedono l’inizio della disoccupazione.
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Risoluzione consensuale: decontribuzione delle somme erogate
È utile sottolineare che le somme erogate in sede di risoluzione consensuale, in aggiunta al Trattamento di fine rapporto, corrisposte ad esempio a saldo e stralcio di ogni pretesa da parte del dipendente ovvero per agevolare lo scioglimento del rapporto, sono esenti da trattenute per contributi INPS.
Le stesse sono tuttavia soggette a tassazione con la stessa aliquota applicata al TFR.
Risoluzione consensuale: interruzione del contratto a termine
Prima della scadenza del termine, i rapporti a tempo determinato possono cessare solamente in presenza di cause che non consentono la prosecuzione del rapporto. E’ il caso di:
- Licenziamento per giusta causa da parte dell’azienda;
- Dimissioni per giusta causa rassegnate dal dipendente.
Entrambe le ipotesi presentano una particolare complessità, rappresentata dal fatto che deve trattarsi di condotte (del datore di lavoro o del lavoratore) di notevole gravità, tali da non permettere il proseguo del rapporto sino alla scadenza.
In tal senso è di gran lunga più agevole concludere una risoluzione consensuale. E’ infatti possibile interrompere in anticipo il contratto per comune volontà delle parti.
Risoluzione consensuale: svantaggi
La difficoltà principale nei casi di risoluzione è quella di trovare un compromesso con il datore di lavoro. Solo con il consenso di quest’ultimo è infatti possibile interrompere il rapporto senza ricorrere alle dimissioni.
Queste ultime infatti, oltre a precludere al dipendente l’accesso all’indennità NASPI, sono soggette, per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato, al rispetto del periodo di preavviso, al contrario non applicato nei casi di risoluzione consensuale.
Risoluzione consensuale: obbligo di procedura telematica
Eccezion fatta per le deroghe che tra poco vedremo, dal 12 marzo 2016 le risoluzioni consensuali devono essere formalizzate attraverso un apposito modulo telematico, attraverso la piattaforma (o l’app) del Ministero del lavoro.
La procedura è accessibile dal lavoratore:
- In autonomia se in possesso delle credenziali SPID o CIE;
- Avvalendosi di intermediari abilitati quali patronati, sindacati, enti bilaterali, commissioni di certificazione, consulenti del lavoro, sedi dell’Ispettorato territoriale del lavoro.
La comunicazione dovrà essere compilata con:
- Dati del datore di lavoro e del dipendente;
- Tipologia di comunicazione;
- Data di decorrenza (giorno successivo l’ultimo di vigenza del contratto).
Una volta compilato e trasmesso, il modulo è reso disponibile in via telematica all’ITL ed al datore di lavoro sul proprio indirizzo Pec.
Risoluzione consensuale: revoca
Entro i sette giorni successivi l’invio del modulo il lavoratore ha la possibilità di revocare il proprio consenso alla risoluzione, a mezzo di invio della stessa comunicazione telematica utilizzata in precedenza.
Risoluzione consensuale: quando non è prevista la procedura telematica
Non sono soggetti alla procedura telematica:
- I rapporti di lavoro domestico e di lavoro marittimo;
- Interruzioni del rapporto nel corso del periodo di prova;
- Lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione;
- Dimissioni o risoluzioni consensuali intervenute nelle sedi “protette” o avanti le commissioni di certificazione;
- Dimissioni o risoluzioni consensuali rassegnate dai genitori lavoratori.
Risoluzione consensuale nelle sedi “protette”
Tra i casi di esclusione dall’invio telematico delle dimissioni / risoluzioni figurano le ipotesi in cui le stesse sono intervenute nelle sedi “protette”, tali si intendono:
- Enti bilaterali;
- Ispettorato territoriale del lavoro (ITL);
- Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie;
- Ministero del lavoro presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
- Consigli provinciali dei Consulenti del lavoro.
Sono inoltre esenti dal ricorso alla procedura online, le risoluzioni concluse in sede sindacale o presso le commissioni di certificazione.
Risoluzione consensuale per genitori lavoratori
Rappresentano un’ulteriore ipotesi di esenzione dalla comunicazione telematica le risoluzioni consensuali che interessano:
- La lavoratrice nel periodo di gravidanza;
- Il lavoratore o la lavoratrice nei primi tre anni di vita del bambino;
- Il lavoratore o la lavoratrice nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento.
I casi appena citati sono infatti soggetti ad una particolare procedura di convalida presso il servizio ispettivo dell’ITL competente.
Risoluzione consensuale: comunicazione al Centro per l’impiego
In tutti i casi di risoluzione consensuale, il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’interruzione del contratto attraverso l’invio al Centro per l’impiego del modello UNILAV, entro cinque giorni dalla cessazione.
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