Il caso di specie riguardava il proprietario di un immobile dato in locazione e il conduttore.
Il primo chiedeva il risarcimento del danno al secondo per aver impedito quest’ ultimo con la sua condotta la visita di terzi nell’ immobile che ne avrebbe consentito la vendita.
Può essere condannato al risarcimento un conduttore che impedisce la vendita dell’ immobile?
A giudizio della Corte di Cassazione è dovuto il risarcimento per una espresso obbligo contrattuale.
Infatti, in Primo Grado il conduttore veniva condannato sia a consentire l’ accesso nei locali sia al risarcimento dei danni.
In parziale accoglimento dinanzi alla Corte d’Appello propose ricorso in Cassazione lamentando:
– violazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 1183, 1218 e ss., 1591 c.c., ritenendo la motivazione insufficiente, in quanto trattasi di un’ unico episodio in cui il conduttore non aveva reso possibile la visita dell’immobile messo in vendita;
– di aver riconosciuto il risarcimento del danno pronunciando condanna generica del conduttore nonostante l’attore non avesse neanche dedotto i danni patiti;
– per mancata prova del nesso causale tra condotta e danno.
Da una attenta disamina del caso la Suprema Corte con sentenza n. 19543 /15 confermò quanto ribadito dalla Corte Territoriale secondo cui: “ è irrilevante l’esplicita precisazione del danno patito, proprio in ragione della natura del pregiudizio collegata al diritto leso, atteso che l’impedimento dell’accesso del proprietario in un immobile dallo stesso destinato alla vendita è in sé idoneo a pregiudicare le trattative e la possibilità stessa dell’alienazione.
Peraltro, nella stessa clausola contrattuale, della quale il locatore invocava l’adempimento e chiedeva il danno per l’inadempimento, esplicitamente si collegava il diritto di visita con la decisione di vendere l’immobile”.
A giudizio della Suprema Corte i giudici di merito per pervenire a una condanna generica hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui: «La condanna generica al risarcimento dei danni, sia essa oggetto di autonomo giudizio, ovvero di quello che prosegue per la determinazione del quantum, presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad un accertamento anche di probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova dell’esistenza in concreto del danno, della sua reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla fase successiva di determinazione e di liquidazione, sicché la pronuncia sulla responsabilità si configura come una mera declaratoria juris, da cui esula qualunque accertamento in ordine alla misura ed alla concreta sussistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi sulla responsabilità non incide sul giudizio di liquidazione>> (Cass. n. 6257 del 2002).
Alla luce di quanto appena affermato, la pretesa del conduttore è illegittima.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento