Rinnovo Cassa integrazione 2021: beneficiari, durata, proroga in Legge di bilancio

Fino al 31 marzo la cassa integrazione ordinaria. Fino al 30 giugno quella in deroga

Paolo Ballanti 31/12/20
Il 30 dicembre 2020 è stata approvata la Legge di bilancio 2021, riguardante il Bilancio previsionale dello Stato per l’anno finanziario 2021. La Manovra è entrata in vigore e tra le misure introdotte nel pacchetto famiglia e lavoro c’è anche il rinnovo della Cassa integrazione 2021.

Viene infatti trattato il tema degli ammortizzatori sociali con causale “COVID-19”, l’esonero contributivo per le imprese che non chiedono la Cassa integrazione e infine il divieto di licenziamento.

Proprio il tema degli ammortizzatori sociali riveste grande importanza, tenuto conto dei rischi occupazionali legati agli effetti economici dell’emergenza COVID-19.

Vengono nello specifico previste 12 settimane di Cassa integrazione speciale “COVID-19” dal 1º gennaio 2021 al 30 giugno 2021, senza modificare l’impostazione degli ammortizzatori come disciplinata dal Decreto “Cura Italia” (D.l. n. 18/2020) in termini di accesso alla prestazione.

Analizziamo nel dettaglio le novità 2021 per quanto riguarda i trattamenti di Cig.

Cassa integrazione 2021: proroga in Legge di bilancio

La parte dedicata agli ammortizzatori sociali trova ampio spazio nei commi dal 299 al 314 della Manovra. Il comma 299 esordisce infatti con lo stanziamento totale dei fondi a riguardo:

“Al fine di garantire, qualora necessario per il prolungarsi degli effetti sul piano occupazionale dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, la possibilita’ di una piu’ ampia forma di tutela delle posizioni lavorative per l’anno 2021 mediante trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga, e’ istituito, nell’ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un apposito fondo con una dotazione di 5.333,8 milioni di euro per l’anno 2021“.

Cassa integrazione: regole in legge di bilancio 2021

Al comma 300 è specificato che:

“I datori di lavoro che sospendono o riducono l’attivita’ lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale, dell’assegno ordinario e del trattamento di integrazione salariale in deroga, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di dodici settimane. Le dodici settimane devono essere collocate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria, e nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga”.

In sostanza, il testo della legge di bilancio 2021 prevede 12 settimane di ammortizzatori sociali con causale “COVID-19”. La misura, si legge nel testo, è giustificata dal garantire una più ampia forma di tutela dei posti di lavoro visto il prolungarsi degli effetti occupazionali dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Di seguito vediamo gli strumenti di sostegno al reddito che potranno essere chiesti nel 2021 dalle aziende:

  • Cassa integrazione ordinaria (CIGO);
  • Cassa integrazione in deroga (CIGD);
  • Assegno ordinario a carico del Fondo integrazione salariale (FIS);
  • Cassa integrazione salariale operai agricoli (CISOA).

Con esclusivo riferimento al trattamento CISOA, il disegno di legge prevede un limite massimo di durata pari a novanta giorni dal 1º gennaio 2021 al 30 giugno 2021.

Cassa integrazione Covid 2021: quando usarla

Le 12 settimane di cassa per COVID-19 dovranno essere fruite nelle seguenti finestre temporali:

  • Dal 1º gennaio 2021 al 31 marzo 2021 per i trattamenti di Cassa integrazione ordinaria;
  • Dal 1º gennaio 2021 al 30 giugno 2021 per i trattamenti di Assegno ordinario a carico del FIS e Cassa integrazione in deroga.

Cassa integrazione Decreto Ristori 

Il testo dedica spazio anche al rapporto con le 6 settimane di ammortizzatori sociali previste dal recente Decreto Ristori (D.l. n. 137 del 28 ottobre 2020).

La norma riconosce alle aziende che abbiano interamente goduto delle 18 settimane previste dal Decreto Agosto (D.l. n. 104 del 14 agosto 2020) di ottenere altre 6 settimane di cassa con causale “COVID-19”, da fruire nel periodo 16 novembre 2020 – 31 gennaio 2021.

A tal proposito, prevede il testo del provvedimento, i periodi richiesti e autorizzati ai sensi del “Ristori” e collocati, anche solo parzialmente, in periodi successivi al 1º gennaio 2021 vengono imputati alle nuove 12 settimane.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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Cassa integrazione in Legge di bilancio 2021: fare domanda

Le domande per accedere ai periodi di cassa integrazione previsti dalla Legge di bilancio devono essere inoltrate, a pena di decadenza, all’INPS entro la fine del mese successivo quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o riduzione di orario. In sede di prima applicazione delle dodici settimane, il termine di invio delle istanze sarà eccezionalmente fissato alla fine del mese successivo quello di entrata in vigore della legge finanziaria.

Cassa integrazione in Legge di bilancio 2021: come viene pagata

Le ore di assenza dei dipendenti per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con intervento dei trattamenti di Cassa integrazione o assegno ordinario sono a carico dell’INPS. Le aziende di norma anticipano le somme in capo all’Istituto, salvo poi recuperarle in sede di versamento dei contributi previdenziali con modello F24.

In deroga all’anticipazione è possibile chiedere il pagamento diretto al dipendente delle ore di cassa da parte dell’INPS. In questo caso è fatto carico all’azienda di trasmettere i modelli cosiddetti “SR-41” necessari affinché l’Istituto provveda alle erogazioni. La bozza del Ddl fissa il termine per l’invio alla fine del mese successivo quello interessato dalla Cassa ovvero, se posteriore, entro trenta giorni dall’adozione del provvedimento che autorizza l’ammortizzatore sociale.

In sede di prima applicazione della normativa, il termine per l’invio dei modelli SR-41 è fissato al trentesimo giorno successivo quello di entrata in vigore della legge di bilancio, se posteriore alle scadenze ordinarie.

Trascorso inutilmente il termine per l’invio delle istanze, i periodi di Cassa integrazione restano interamente a carico dell’azienda senza alcun intervento dell’INPS.

Legge di bilancio 2021: a chi spetta la cassa integrazione

Le 12 settimane di Cassa sono destinate ai lavoratori in forza alla data di entrata in vigore della legge.

Legge di bilancio 2021: fondi stanziati per Cig covid

Le misure per la cassa integrazione saranno finanziate con un apposito capitolo di bilancio all’interno dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione finanziaria per il prossimo anno pari a 5,3 miliardi di euro.

Legge di bilancio 2021: esonero contributi

Il Disegno di legge bilancio proroga di altre 8 settimane l’esonero contributivo previsto dal Decreto “Agosto” per le aziende che non ricorrono agli ammortizzatori sociali.

L’agevolazione, comunque fruibile entro il 31 marzo 2021, è calcolata sulle ore di integrazione salariale fruite a maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi dovuti all’INAIL.

La misura è riservata ai datori di lavoro privati, eccezion fatta per il settore agricolo.

In costanza di fruizione dell’esonero ne è ammessa l’interruzione e contestualmente l’accesso agli ammortizzatori sociali.

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