Insomma, se davvero il ministro del Lavoro Giovannini e il premier decideranno di apportare modifiche alla norma che regola le uscite dal lavoro e l’avvio della fase previdenziale della vita, dovranno attuarle con il bisturi, mettendo in pratica ritocchi mirati ma in grado di rendere per quanto possibile più elastici i criteri di accesso alla pensione.
Così, obiettivo primario di qualsiasi ragionamento di “controriforma” dovrà essere quello di non sperperare i circa 80 miliardi di euro stimati dai conteggi del Ministero e dei ragionieri delle istituzioni che, di qui al 2021, dovrebbero restare nelle casse dello Stato per effetto delle misure introdotte sulle pensioni con il decreto salva Italia.
Ciò, comunque, non dovrebbe precludere un ritorno alla flessibilità in uscita, come confermato dallo stesso ministro del Lavoro in una videochat della settimana passata, nel corso della quale, anzi, è stato fissato anche il termine temporale entro cui questi correttivi dovrebbero essere apportati alla legislazione vigente: il prossimo, e imminente, mese di settembre.
Sui dettagli delle modifiche apportate dal tandem Letta-Giovannini alla legge Fornero, ancora non ci sono certezze. Sicuramente, si punta ad abbassare l’età pensionabile ma senza provocare traumi contabili al sistema previdenziale, già con l’acqua alla gola, anche nel suo cuore pulsante dell’Inps.
Obiettivo principale, in sostanza, dovrebbe finire per essere quello di ridurre il minimo anagrafico dagli attuali 66 anni – scattati in ragione dell’incremento della speranza di vita secondo quanto stabilito proprio dalla norma Fornero – a 62 o 63 anni, con rispettive penalizzazioni del 2% sull’assegno mensile per ogni anno in meno lavorato, corrispondente al bonus che si vedrebbe riconosciuto in caso di uscita dai 67 ai 70 anni.
Sicuramente, se un piano di revisione delle pensioni verrà varato, finirà per essere coordinato alle novità introdotte per i giovani con il decreto lavoro della scorsa settimana: a questo proposito, dunque, tornerebbe d’attualità anche la politica del turnover tra ingressi e uscite dai posti di lavoro, che, secondo alcuni calcoli, verrebbe a costare circa 1,5 miliardi.
E non ci sono soltanto le note positive: come tutti sanno, infatti, la riforma Fornero è la stessa che ha generato circa 300mila esodati, di cui soltanto 130mila finora sono stati presi in carico dal governo, mentre le pensioni effettivamente erogate sono di molto inferiori. Naturale, dunque, che la priorità sul welfare investi proprio i non salvaguardati: il governo potrebbe decidere di ampliare leggermente la platea con le poche risorse a disposizione. Come si vede, dunque, non ci saranno rivoluzioni, ma solo la messa a punto di un meccanismo di già efficiente per le finanze pubbliche, ma a dir poco crudele per i contribuenti e i lavoratori più anziani.
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