Qualsiasi progetto di revisione avanzato dal governo o dal Parlamento, infatti, richiede il bollino di assenso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’unico veramente in grado di garantire la realizzabilità dei piani di riforma e di rilancio dell’economia.
In questo versante, era trapelato un discreto ottimismo nei giorni successivi allo stop della procedura di infrazione sul deficit italiano, decisa in sede di Unione europea ormai due settimane fa. Con la decisione di Bruxelles, infatti, era avanzata l’ipotesi che un flusso di risorse più corposo del previsto sarebbe potuto fluire verso la riforma delle pensioni che stava studiando il governo Letta.
In breve, il traguardo era già stato fissato: introduzione della flessibilità in uscita, con penalizzazioni del 2% per ogni anno uscito in anticipo rispetto ai 65 e bonus analoghi. Tetto minimo e massimo anagrafico di questo disegno, erano rispettivamente i 62 e i 70 anni compiuti, con 35 di contributi versati regolarmente.
Un piano sostenuto con forza dall’ex ministro del Lavoro, e sostenitore acceso delle soluzioni urgenti a favore degli esodati, Cesare Damiano, che già nel recente passato era riuscito a portare le sue proposte di estensione anche in Commissione, salvo poi vedersi stoppato dalla Ragioneria di Stato, per un piano di salvataggio ritenuto troppo oneroso, che avrebbe impegnato le finanze pubbliche da qui al 2019.
A lui, ma non solo, si deve la proposta di reintroduzione del concetto di flessibilità, finito in soffitta con la legge Fornero, che oltre al regime contributivo, ha introdotto rigidità inaudite per il welfare italiano, generando, in questa maniera, anche il grande shock degli esodati, con oltre 300mila lavoratori – sempre secondo la Ragioneria di Stato – sprovvisti di requisiti minimi per andare in pensione e senza lavoro per completare le annualità rimanenti.
Proprio nelle ultime ore, però, è arrivato il “no” di Saccomanni e Giovannini al ritorno alla flessibilità in uscita dal lavoro, in coincidenza con la smentita sul blocco dell’aumento Iva. Tempistica che dovrebbe far riflettere e che lascia forte il dubbio che, se ci saranno davvero risorse disponibili, saranno dirette verso uno dei due obiettivi e tutto lascia intendere che finiranno per scegliere la direzione dello stop – quantomeno temporaneo – all’Iva al 22%.
Tra le altre misure allo studio per apportare correttivi alla rigida legge Fornero, si tratta anche su un prelievo extra sulle pensioni d’oro, quelle al di sopra dei 3mila euro mensili lordi, anche se, su questo intervento, pesa la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittimi ricorsi di questo genere sugli assegni dei pensionati di prima classe. Sicuramente, il governo vuole prendersi tutto il tempo disponibile per destinare al meglio le poche risorse che riuscirà a mettere in campo e così, forse, si spiega anche il rinvio del piano contro la disoccupazione giovanile, slittato di alcuni giorni.
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