Stavolta, a tornare in auge è nientemeno che il prelievo sulle pensioni d’oro, un rimedio consueto a cui i governi degli ultimi anni pensano di attingere quando si trovano a corto di alternative per incamerare risorse.
E, questa volta, il rischio è davvero serio. Non basterà, infatti, fare spallucce come per la concessione del bonus degli 80 euro in busta paga concesso a partire dai mesi scorsi, che, nonostante i dubbi e le perplessità avanzate dagli istituti contabili, è stato rilasciato dall’esecutivo ai lavoratori dipendenti con redditi inferiori ai 26mila euro annui. Ora, con le stime di crescita drasticamente ridimensionate, la conferma della recessione tecnica in atto e le prospettive che dal rosa pallido di qualche settimana fa sono virate verso un nero imperscrutabile, l’emergenza sta portando il governo Renzi a ridiscutere la possibilità di introdurre un prelievo drastico dalle pensioni più elevate.
A lanciare l’ipotesi, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, intervenuto nei giorni scorsi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nella quale ha ventilato l’ipotesi di un ritorno della quota di solidarietà richiesta ai pensionati del ceto medio e poi a salire.
Quali sono le pensioni coinvolte
Secondo il disegno abbozzato dal governo, che potrebbe prendere forma nelle prossime riunioni al rientro dalle vacanze estive, a finire nella tagliola dovrebbero essere le cosiddette pensioni d’oro e d’argento che sono ancora oggi calcolate con il metodo retributivo.
In sostanza, a venire decurtato dall’assegno dei pensionati, dovrebbe essere il gap tra l’assegno previdenziale che viene riconosciuto a chi rientra in questa particolare categoria secondo i criteri antecedenti la riforma Dini e quello che, invece, sarebbe l’importo incassato con le regole vigenti.
Ovviamente, gli interrogativi sono tutti sulla famosa “asticella”: a quale cifra comincerà il prelievo che il governo sembra avere tutta l’intenzione di porre in atto in tempi brevi? Al momento, la cifra più plausibile sembra quella che si attesta sui 3500 euro netti al mese, anche se in un primo momento erano stati presi in considerazione anche coloro che percepiscnon un reddito da pensione di 50mila euro lordi all’anno.
Altre modifiche
Non ci sarà nessun cambiamento alle regole introdotte con la legge Fornero sui requisiti minimi per l’accesso all’assegno previdenziale.
Secondo le stime dei tecnici, nelle casse dello Stato potrebbe entrare un miliardo l’anno che andrebbe a finanziare attività di supporto alle fasce rimaste senza protezione a seguito della stessa legge Fornero, in particolare gli esodati. Le risorse incamerate in questo modo dovrebbero scongiurare l’emersione di nuove fasce di esodati a pochi anni dalla maturazione dei requisiti minimi: per questi ultimi infatti, viene previsto il “paracadute” dell’Aspi per i primi due anni, più un assegno di circa 750 euro in previsione dell’arrivo alla pensione.
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