Se la Regione Siciliana non trova un accordo con lo Stato, la riforma delle Province è destinata al fallimento.
Siamo convinti di questo e il dramma che stanno vivendo in questi giorni le piccole Amministrazioni provinciali a partire dall’ex Provincia di Enna né è la triste conferma. La specialità statutaria non mette infatti al riparo la Regione Siciliana dagli effetti collaterali di natura finanziaria che conseguono alla complessa riforma dell’ente intermedio. Il nodo centrale che Stato e Regione devono sciogliere, in tempi brevissimi, non è tanto rappresentato dal fatto che la Sicilia è l’unica Regione d’Italia ad avere previsto nel proprio ordinamento delle autonomie locali i liberi consorzi di comuni al posto delle Province per il governo dell’area vasta (questione che comunque rileverà non poco sotto il profilo della natura giuridica di ente territoriale non di governo), ma perché nel disegno istituzionale del legislatore siciliano non vi è il progressivo depotenziamento dell’ente intermedio ma, al contrario di quanto auspicato dalla legge statale “Delrio”, il potenziamento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici in capo al nuovo ente intermedio. Il punctum pruriens sta tutto qui.
Orbene, nulla vieta alla Regione Siciliana di articolare come ritiene più confacente alle proprie esigenze istituzionali l’ordinamento e l’organizzazione delle autonomie locali, ma com’è ormai noto, il legislatore regionale dovrà tenere conto dei principi di grande riforma economico e sociale contenuti nelle leggi statali di settore. Nella fattispecie della legge “Delrio”, che ha riformato gli enti intermedi delle regioni a statuto ordinario, è previsto all’art. 1, comma 145, che “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e la Regione siciliana adeguano i propri ordinamenti interni ai principi della medesima legge”. In assenza di una specifica elencazione di quali siano questi principi da osservare, la cui individuazione è rimessa al medesimo legislatore regionale e al Giudice delle leggi, ci sembra di potere affermare che il depotenziamento delle funzioni amministrative degli enti intermedi nella prospettata espunzione dell’ente locale Provincia dall’art. 114 della Costituzione, sia proprio da annoverare tra i citati principi. Peraltro, e in disparte i riflessi di natura finanziaria incidendi anche sugli ordinamenti regionali a statuto speciale, sarebbe incomprensibile accettare l’esistenza di irrobustiti enti intermedi (ancorchè denominati liberi consorzi di comuni) nella sola Sicilia.
Postulato di questo ragionamento è il comportamento che lo Stato sta tenendo nei confronti dei trasferimenti erogati anche alle Province delle uniche due Regioni a statuto speciale (Sicilia e Sardegna) che ricevono tuttora contributi statali per il finanziamento delle normali funzioni amministrative. Pertanto, se lo Stato esercita una competenza che pacificamente gli spetta in via esclusiva, a norma dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., a tutela della coesione e dell’unità economica della Repubblica, al medesimo spetta dunque anche determinare l’entità dei trasferimenti erariali e dei fondi che alimentano la finanza comunale e provinciale ed eventualmente anche di ridurli come del resto sta già facendo in coerenza con la legge Delrio.
Ora, se la Regione Siciliana non è stata in grado di fornire, in sede di contenzioso costituzionale (si veda la recentissima sent. n. 82 del 15 maggio 2015), alcun elemento per dimostrare in concreto che la riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali siciliani abbia dato luogo ad una insufficienza complessiva dei mezzi finanziari a disposizione e quindi a pretendere dallo Stato il rispetto di quei vincoli necessari ad assicurare ad enti territoriali di governo come le ex Province regionali, comprese quelle con minore capacità fiscale per abitante, risorse sufficienti a finanziare integralmente le funzioni loro attribuite, come previsto dall’art. 119, quarto comma, Cost., è impensabile che possa adesso riuscire nella medesima impresa in presenza di enti intermedi sprovvisti dello status costituzionale di enti territoriali di governo quali sono i nuovi liberi consorzi di comuni.
Per concludere, in assenza di un accordo tanto pattizio quanto derogatorio rispetto al contesto ordinamentale che si sta delineando nel Paese, è veramente difficile credere che il legislatore siciliano possa con le sole sue forze (ordinamentali e finanziarie) riformare questo vitale settore del sistema delle autonomie locali senza fare danni.
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