Riforma delle Province in Sicilia. Un fallimento annunciato

Massimo Greco 11/10/14

All’indomani della scadenza del termine ultimo stabilito dalla riforma siciliana dell’ente intermedio per la costituzione di nuovi “Liberi” Consorzi di comuni in aggiunta a quelli esistenti e coincidenti con le vecchie Province regionali, il bilancio è palesemente fallimentare. Pochissimi sono infatti i Comuni che hanno deliberato il distacco dai Consorzi di comuni d’appartenenza e/o dalle individuate Città metropolitane. Abbiamo cercato in tutti i modi e in tutte le sedi di far comprendere al legislatore regionale che la riforma dell’ente intermedio così come concepita non poteva essere attuata.

Abbiamo, sommessamente ma infruttuosamente, interpellato anche il Commissario dello Stato, pregandolo di attenzionare i numerosi vizi di costituzionalità che la riforma presenta. Così come abbiamo cercato, nei mesi successivi all’approvazione della l.r. n. 8/2014, di illustrare  i problemi più evidenti che si sono presentati puntualmente sul tavolo dei Commissari straordinari e dei Dirigenti delle soppresse Province regionali (funzioni amministrative di tipo impositivo, assoggettamento ai vincoli di finanza pubblica, degradazione ad ente non territoriale di governo, ecc…). Fiato e inchiostro sprecati! Ancora oggi ci chiediamo se i nostri rappresentanti si sono resi conto di ciò che hanno fatto, nel tentativo disperato di fare qualcosa ancorchè sconosciuto ai più. Ma poiché al peggio non c’è fine, in queste ore assistiamo ad un coro di annunci che dimostrano, ancora una volta, che a non avere compreso nulla sono in tanti e non tutti facenti parte dell’Assemblea Regionale Siciliana. Preso atto del fallimento, i Sindaci di Palermo e Catania hanno veicolato, attraverso una riunione dell’ANCI, l’esigenza di stoppare la riforma in corso per manifestata incapacità di completarla e di recepire con una sola disposizione la riforma dell’ente intermedio approvata dal Parlamento per le Regioni a statuto ordinario, meglio conosciuta come legge Delrio (n. 56/2014). Non comprendiamo infatti se annunci di questo tipo sono fatti provocatoriamente o seriamente.

Ci rendiamo perfettamente conto che Palermo, Catania e Messina hanno fretta di diventare concretamente Città metropolitane, dovendo attrarre con celerità i programmati flussi finanziari messi a disposizione dai canali comunitari, ma pretendere, con una semplice leggina, di impiantare nell’ordinamento siciliano la riforma Delrio equivale a far quadrare il cerchio. Continua infatti a sfuggire la fondamentale differenza tra l’ente intermedio Provincia previsto dall’art. 114 della Costituzione e l’ente intermedio Consorzio di comuni previsto dall’art. 15 dello Statuto siciliano. Orbene, mentre con la riforma Delrio si sono solamente ridotte le funzioni amministrative delle Province e le modalità di elezione degli organi di governo (da 1° a 2° grado), con la riforma Crocetta si è voluto eliminare l’artificio delle Province regionali volute con la l.r. n. 9/86 dando fedele attuazione all’art. 15 dello Statuto che, come già detto in altre occasioni, non prevede un ente territoriale di governo alternativo ai Comuni. Infatti, il Libero Consorzio di comuni ha tradizionalmente (art. 31 del TUEL), ma anche secondo le previsioni di cui all’art. 20 della l.r. 18 marzo 1955 n. 17 ed all’art. 13 del d.l. del Presidente della regione n. 6 del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria” ed avente natura associativa e strumentale rispetto agli enti che vi partecipano).

Corollario di questa fondamentale differenza è che l’eventuale adeguamento dell’ordinamento siciliano ai principi della riforma Delrio, così come peraltro espressamente richiesto dal comma 145 della legge n. 56/2014, comporta un propedeutico adeguamento statutario e l’inserimento, paradossalmente, dell’ente intermedio Provincia in luogo degli attuali Liberi Consorzi di comuni, in coerenza con la vigente architettura istituzionale prevista dall’art. 114 della Costituzione.

Ad oggi, e fino a quando non si apporterà una siffatta modifica statuaria di adeguamento, la Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, mentre non risente delle novità apportate dal nuovo Titolo V° della Costituzione, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite, a fortiori non può ritenersi vincolata nell’osservanza di disposizioni contenute in leggi ordinarie in palese contrasto con quelle, di natura costituzionale, contenute nello Statuto. Questione, per la verità, già affrontata dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la sentenza 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90, in cui venne statuito che gli articoli 114, 118, 128, 129 e 133 della Costituzione non sono applicabili per la Sicilia date le speciali disposizioni degli articoli 15 e 16 dello Statuto, che facendo parte delle legge costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 della Costituzione prevalgono, per un principio generale, sulle disposizioni diverse della stessa Costituzione.

Funditus, da un’esperienza fallimentare di questo tipo ci aspettiamo maggiore riflessione da coloro che hanno l’ambizione di rappresentare i nostri interessi e non scorciatoie che finirebbero per configurarsi come cure peggiori dei mali.

Massimo Greco

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