In primis il Governo dovrà rivedere, non solo le regole del fisco, ma anche il metodo di valutazione delle unità immobiliari urbane e soprattutto il loro valore, non più misurato secondo il numero dei vani ma in base ai metri quadrati effettivi. L’intento è quello di rivedere l’intera struttura di calcolo dell’Imu che, comunque, secondo quanto dichiarato, non dovrebbe portare ad aggravi per i contribuenti. Nel calcolo avranno infatti un peso sia la localizzazione del fabbricato all’interno dell’area urbana (una via del centro in questo senso sarà più cara della periferia) ma anche la qualità e lo stato effettivo dell’immobile (qualità e consistenza dell’immobile, oltre ad una eventuale valenza storica) e ciò con lo scopo evidente di “perseguire in primo luogo l’obiettivo di una maggiore equità, avvicinando le singole rendite catastali ai valori effettivi di mercato”. In ogni caso, secondo quanto già dichiarato “alla revisione delle rendite si accompagnerà, contestualmente, quella delle aliquote, in modo da mantenere invariato il carico fiscale complessivo sui fabbricati”.
Infatti, il passaggio dal sistema di calcolo basato sulla rendita, ad uno basato sul valore di mercato, genererà delle differenze tali da rendere necessaria la modifica dei moltiplicatori attualmente in uso (aliquote e basi imponibili) e ciò condurrà a una nuova classificazione degli immobili e al superamento dell’attuale sistema per categorie e per classi. Partendo dal valore di mercato al metro quadrato per la tipologia immobiliare relativa, verranno determinati una serie di coefficienti (scale, anno di costruzione, piano, esposizione, affaccio, ascensore, riscaldamento centrale o autonomo, stato di manutenzione) che genereranno un algoritmo che, applicato al valore al metro di partenza, lo rettificherà. Moltiplicandolo poi per i metri quadrati dell’abitazione si otterrà il valore patrimoniale. La riforma prevede anche l’adozione di meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione dei parametri utilizzati per la definizione del valore patrimoniale.
Secondo gli analisti ci vorranno anni prima che una riforma cosi fatta possa effettivamente entrare in vigore. Ma tant’è.
Il problema vero è quello delle rendite catastali molto basse ed inique.Il catasto infatti si basa su una riforma del 1939 e adotta come unità di misura il vano. Ne consegue che esistono forti disparità da città a città e tra le case ubicate nei centri storici – oggetto di una imposizione fiscale più leggera – e quelle ubicate in periferia. Tuttavia, come precisato dall’Agenzia del Territorio, la creazione di un catasto con valori patrimoniali abbinati a rendite realistiche, come previsto dalla delega fiscale, richiede dei campioni significativi e dei dati che al momento non sono disponibili presso gli archivi catastali. Manca infatti un sistema per aggiornare i redditi delle singole unità immobiliari e di conseguenza a pagare di più saranno sempre i proprietari della sola prima casa (o del solo immobile strumentale) quindi la maggioranza dei contribuenti.
In effetti la riforma che sta prendendo corpo, a causa degli aumentati valori catastali, comporterà un aumento delle imposte sugli immobili a livelli insostenibili, soprattutto sulle seconde case, deprimendo ulteriormente il mercato.
In sintesi la riforma del catasto può essere un’opportunità di modernizzazione del Paese, ed è necessaria, ma se si faranno le cose “all’italiana” da un lato diventerà un ulteriore freno alle compravendite degli immobili, dall’altro vanificherà l’eventuale cancellazione dell’ Imu sulla prima casa. Ma questa è un’altra storia.
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