Riconoscimento dei titoli professionali: il caso di un ingegnere italiano/architetto britannico

E’ il caso di un ingegnere, laureato in Italia in Ingegneria edile-architettura presso l’Università La Sapienza di Roma che, dopo un lungo iter, ha finalmente ottenuto l’iscrizione all’Albo degli Architetti britannico.

Una volta superato l’esame di Stato in Italia il professionista ha ottenenuto l’iscrizione all’Albo degli Ingegneri.

Successivamente, trasferitosi in Inghilterra, ha presentato richiesta di iscrizione all’Albo degli Architetti britannico.

Tuttavia, nonostante la presentazione della documentazione necessaria, dal certificato di laurea al certificato di conformità della laurea alla direttiva europea 2005/36/CE, la sua istanza non è stata accolta.

In ambito europeo, il riconoscimento delle qualifiche professionali è disciplinato dalla Direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 6 novembre 2007  n. 206, che si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea i quali vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione Europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione.

La disciplina del riconoscimento dei titoli professionali ha avuto, nel tempo, varie evoluzioni. Inizialmente sono state adottate direttive di tipo settoriale, relative a specifiche professioni regolamentate, tra cui quelle concernenti le professioni sanitarie (medici, infermieri, odontoiatri, veterinari, ostetriche, farmacisti) e quella relativa alle attività nel campo dell’architettura. Queste direttive, basate su una preliminare armonizzazione dei criteri formativi, hanno previsto il riconoscimento professionale automatico per tutti coloro che erano in possesso delle qualifiche professionali richieste sulla base di appositi allegati.

Successivamente, al sistema di riconoscimento automatico si è aggiunto un sistema generale fondato sul principio della mutua fiducia tra gli Stati e del mutuo riconoscimento (le direttive 89/48/CEE, 92/51/CEE, 99/42/CE e 2001/19/CE). In base a tale regime, gli Stati membri – non essendo disciplinati a livello comunitario i contenuti formativi minimi per le singole professioni – sono tenuti a confrontare il contenuto delle qualifiche professionali dei richiedenti con quelle previste nel proprio ordinamento, sulla base di una verifica caso per caso. Nell’ipotesi di differenze sostanziali l’autorità competente può richiedere il superamento di una misura compensativa consistente in una prova attitudinale o in un tirocinio di adattamento.

Attualmente la direttiva offre un meccanismo di riconoscimento reciproco.

La professione può essere esercitata in regime di stabilimento o con prestazione transfrontaliera temporanea e occasionale. Il riconoscimento delle qualifiche professionali permette, così, di accedere alla professione corrispondente per la quale i cittadini europei sono qualificati nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall’ordinamento italiano. La professione che l’interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è stato qualificato nel proprio Stato membro d’origine, se le attività sono comparabili.

Sebbene gli Stati membri siano liberi di definire i requisiti di qualifica per l’accesso a determinate professioni, quale strumento appropriato per perseguire obiettivi di interesse generale in relazione a una determinata attività economica, in alcuni casi i requisiti di qualifica potrebbero essere sproporzionati o inutili per il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale e creare un ostacolo alla libertà di movimento dei cittadini dell’UE.

Di fatto, possono esservi casi in cui un cittadino dell’UE che svolge già un’attività economica nel proprio Stato membro di origine debba soddisfare un requisito di qualifica ingiustificato e sproporzionato nello Stato membro ospitante, il cui livello o la cui tipologia sia tale da impedirgli di superare le difficoltà con una prova o un tirocinio (i cosiddetti provvedimenti di compensazione), come previsto dalla direttiva sulle qualifiche professionali o tale da impedirgli di chiedere l’accesso parziale ai sensi della giurisprudenza della Corte. Il cittadino non avrebbe, dunque, altra scelta che seguire l’intero percorso formativo necessario per acquisire la qualifica nazionale nello Stato membro ospitante.

Nel caso di specie, poiché l’Albo degli Architetti britannico non ha accolto la richiesta di iscrizione presentata dall’ingegnere italiano, è stata avviata la procedura I.M.I. (Internal Market Information system). Trattasi del sistema informativo di cooperazione amministrativa che permette un più veloce scambio di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri, contribuendo a superare gli ostacoli pratici legati, in particolare, alle differenze di cultura amministrativa, alla diversità delle lingue e all’individuazione delle controparti a cui rivolgersi negli altri Stati membri.

Come dimostra il caso in esame, un ingegnere che in Italia può esercitare anche nel settore dell’architettura potrebbe trovare difficoltà all’estero, ad esempio, in Gran Bretagna, dove esistono regole diverse per quanto riguarda il riconoscimento dei titoli professionali.

L’ingegnere italiano si è, dunque, rivolto a Solvit Italia dopo aver tentato, invano, di convincere le autorità anglosassoni.

Una volta chieste le informazioni all’amministrazione competente, in questo caso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in base agli elementi raccolti, Solvit Italia ha contattato i colleghi del Solvit britannico riuscendo a far accogliere la richiesta precedentemente negata.

Alla richiesta del certificato di iscrizione all’Albo degli Architetti italiano, il Ministero italiano dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha risposto alle autorità inglesi spiegando che il professionista è un ingegnere che in Italia può esercitare nel settore dell’architettura, requisiti che gli consentono di utilizzare la direttiva 2005/36/CE ai fini della mobilità per il riconoscimento automatico del titolo.

Decisiva sul punto è stata la previsione contenuta all‘Allegato 5 della Direttiva 2005/36/CE che comprende tra i titoli di formazione di architetto riconosciuti anche quello in ingegneria edile-architettura. Questo vuol dire che per il riconoscimento in Gran Bretagna e la relativa registrazione all’Albo, il professionista – ingegnere non deve essere necessariamente registrato in Italia anche all’Albo degli Architetti dato che ha già superato l’esame di Stato per l’Albo degli Ingegneri.

 

Giuliana Gianna

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento