Dopo un clima rovente di polemiche e accuse è quindi stato finalmente trovato l’accordo tra le forze politiche parlamentari, che ha portato nel nostro ordinamento l’introduzione di questo nuovo reato, a tutela delle donne e di chiunque sia vittima di vendetta a sfondo sessuale sul web.
Vediamo un po’ più in dettaglio cosa prevede il nuovo reato e cosa rischia chi se ne macchia.
Revenge porn: introdotto nel ddl Codice rosso
Il reato di revenge porn ha avuto il via libera alla Camera, con un emendamento al Codice rosso contro la violenza sulle donne, con 461 voti favorevoli e nessuno contrario. Voto unanime quindi. Il testo completo è quello appunto del Codice rosso, il nuovo ddl voluto da Alfonso Bonafede – ministro della Giustizia – e Giulia Bongiorno – ministra della Pubblica amministrazione – teso a rendere più rapide ed efficaci le denunce nei casi di violenza sulle donne.
Con l’approvazione è quindi stato introdotto nel codice penale l’articolo 612-ter (Diffusione di immagini o video privati sessualmente espliciti). Di converso, è sparito dal disegno di legge l’emendamento proposto dalla Lega sulla castrazione chimica.
Accademia della crusca: si dice porno vendetta
Oramai ci siamo abituati a etichettarlo Revenge porn. Ma il primo scappellotto ci arriva proprio dall’Accademia della crusca, che ha bocciato in toto questo modo di chiamarlo, utilizzato dai media, e promosso invece il legislatore, che ha utilizzato termini italiani nella stesura della norma.
Questo il comunicato stampa della Crusca, diffuso ieri:
“Dobbiamo complimentarci con il legislatore che, nella stesura della norma, ha utilizzato parole italiane, organizzate in un testo chiaro e trasparente. Non possiamo allo stesso modo complimentarci con una parte dei commentatori, i quali perseverano, presentando i contenuti della nuova legge, nell’usare forestierismi opachi, senz’altro meno chiari della normativa ufficiale: anche nella discussione parlamentare in aula molti degli oratori e delle oratrici, per illustrare l’opportunità della norma, hanno fatto sfoggio dei termini sexting, revenge porn, slut shaming.
Per fortuna, come abbiamo detto, la stesura materiale dell’emendamento non si avvale di questi forestierismi, ma la stampa e i media, creando non poca confusione, presentano talora l’esito legislativo come la norma sul revenge porn, anche se l’espressione, come abbiamo detto, non ricorre affatto nella legge.
Spesso revenge porn viene affiancato all’equivalente italiano, che esiste, ed è “pornovendetta”. “Pornovendetta” ha già largo corso sui giornali e nella Rete, e noi suggeriamo di adottare la forma univerbata, più specifica rispetto alla grafia “porno vendetta”. Il gruppo Incipit presso l’Accademia della Crusca appoggia questa naturale soluzione, adottata spontaneamente da molti operatori della comunicazione”.
Revenge porn: cos’è
Per revenge porn si intende la pubblicazione e condivisione di immagini e video intimi, facendoli navigare sul web (social network, chat, email ecc). Si tratta in pratica di un utilizzo distorto e infamante di immagini intime girate in privato, che porta chi si vuole vendicare di un partner a diffonderle nell’etere del web, fino a farle diventare virali.
Un atteggiamento infamante e odioso, che ha in più casi portato le vittime di questa pratica al suicidio.
Il revenge porn consiste quindi nella pubblicazione, o minaccia di pubblicazione di fotografie o video che mostrano persone impegnate in attività sessuali o ritratte in pose sessualmente esplicite, senza che ne sia stato dato il consenso dal diretto interessato, ovvero la persona o una delle persone coinvolte.
Può avvenire tra coniugi, tra fidanzati, tra amici, tra partner occasionali e sono dei veri e propri ricatti sessuali.
Revenge porn: cosa si rischia
Da oggi questa pratica è considerata reato in Italia (lo sarà in modo operativo a iter concluso dal Senato). Ciò significa che chi se ne macchia va incontro a rischi e sanzioni precisi. In particolare:
- Carcere: chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
- Multa: chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito (oltre che con la reclusione) con una multa da 5mila a 15 mila euro.
La pena aumenta se:
- l’autore del reato è un partner o un ex partner, oppure diffonde questi contenuti su strumenti informatici
- Se la vittima si trova in condizione di inferiorità fisica o psichica oppure una donna incinta.
Tutto sarà operativo appena il Senato avrà recepito e approvato il provvedimento in via definitiva.
Revenge porn (porno vendetta): il testo dell’articolo
Art. 612-ter c.p. (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti)
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o il video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
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