Dunque, secondo la Corte dei conti, Sezione Autonomie, delibera 26/2015, i resti assunzionali degli anni 2011-2013 possono essere liberamente utilizzati per effettuare assunzioni non soggette al congelamento disposto dall’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014.
La Sezione Autonomie con la questione dei resti assunzionali non ha un buon rapporto, è ormai conclamato. Non si può non ricordare l’assurda interpretazione fornita con la deliberazione 27/2014, che contraddicendo ogni principio di logica, programmazione e gestione finanziaria, considerò i “residui” della spesa per assunzoni non effettuata, dunque elementi da accertare con riferimento a gestioni chiuse e a consuntivo, come da proiettare sul futuro. I residui assunzionali triennali, cioè, si sarebbero dovuti computare per il futuro e non per il passato.
Non paga della sconfessione clamorosa a questa interpretazione priva davvero di senso logico, operata dall’articolo 4, comma 3, del d.l. 78/2015, la Sezione torna in parte sulla questione, argomentando, come visto sopra, nel senso che “gli enti locali possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato utilizzando la capacità assunzionale del 2014 derivante dalle cessazioni di personale nel triennio 2011-2013, sempre nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica; mentre, con riguardo al budget di spesa del biennio 2015-2016 (riferito alle cessazioni di personale intervenute nel 2014 e nel 2015), la capacità assunzionale è soggetta ai vincoli posti dall’articolo 1, comma 424 della legge 190/2014 finalizzati a garantire il riassorbimento del personale provinciale”.
Un vero atteggiamento da Zelig, quello della Corte dei conti, tale da lasciare apparire ai comuni e alle pubbliche amministrazioni che davvero, nella sostanza, possa andare bene tutto ed anche il suo contrario.
Lo spettacolo oggettivamente poco edificante di sezioni regionali che non sono capaci di coordinarsi nemmeno un po’ sulle interpretazioni delle norme e le stesse contraddittorie (e, spiace dirlo, infondate) indicazioni della Sezione Autonomie, forniscono gioco facile per chiunque ad adottare decisioni operative ispirate alla pura convenienza del momento e per nulla alle indicazioni della legge, potendo contare di non rispondere di eventuali danni erariali ed illegittimità proprio alla Corte dei conti: sarebbe semplicissimo, infatti, evidenziare la totale assenza di dolo e colpa grave, semplicemente elencando i contrasti giurisprudenziali ed interpretativi sui temi.
Un gioco al “liberi tutti” di fare, dunque, esattamente come appaia più opportuno ed aggradi, oggettivamente in totale contrasto con le esigenze di certezza ed equilibrio dell’ordinamento.
Sembra davvero che la Sezone Autonomie della delibera 26/2015 sia un organo diverso dalla Sezione autonomie della delibera 19/2015, quella nota per aver escluso la compatibilità della “mobilità neutra” con l’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014. Il problema è, però, che la deliberazione sorprendente non è certo al 26/2015: è stata la 19/2015 ad emettere una volta tanto un lampo di luce, su un modo di interpretare le disposizioni sugli enti locali, certo molto controverse, che da sempre lascia molte perplessità. Basti citare per tutti il caso degli oneri riflessi sugli incentivi per la progettazione, un clamoroso esempio di decisione-non decisione, che ha lasciato aperti tutti i problemi, forse aggravandoli.
La deliberazione 26/2015 della Sezione Autonomie è la totale smentita della precedente deliberazione 19/2015, per una ragione molto semplice: i giudici contabili hanno del tutto perso per strada la valorizzazione dell’interpretazione teleologica dell’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014, consistenti nel fine assolutamente prioritario di garantire la ricollocazione di oltre 20.000 dipendenti provinciali, fine col quale la mobilità “neutra” è ovviamente in assoluto contrasto.
L’impressione che la Sezione Autonomie sia andata in contrasto con l’intera ricostruzione proposta con la deliberazione 19/2015 non è solo di chi scrive. E’ la stessa Corte dei conti a rivelarlo. Basta dare una rilettura alla deliberazione della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo delle Marche 10 luglio 2015, n. 163, ove si legge: “le economie relative all’esercizio 2013 utilizzabili in base alla nuova formulazione dell’art. 3, co. del d.l. 90/2014 – poiché costituiscono una quota della complessiva capacità assunzionale dell’ente – possono essere destinate esclusivamente all’assunzione dei vincitori di concorso risultanti da graduatorie già vigenti o approvate all’1.01.2015 ovvero per consentire la ricollocazione nei propri ruoli del personale soprannumerario. Si evidenzia che tale soluzione è coerente con la ratio del comma 424 cit. che è stata correttamente individuata dalla deliberazione della Sezione Autonomie n. 19/SEZ/AUT cit. nella volontà di attribuire rilievo prioritario alla ricollocazione del personale soprannumerario degli enti provinciali interessati dal processo di riordino di cui alle leggi 6 luglio 2012, n. 95 e 7 aprile 2014, n. 56 che, altrimenti, risulterebbe gravemente compromessa”.
La capriola carpiata con avvitamento indietro operata dalla Sezione Autonomie, svelata proprio dalla lettura fornita sul tema da alcune sezioni regionali, è ingigantita dall’assoluta laconicità della deliberazione 26/2015, che non fa minimo cenno alla finalità della prioritaria ricollocazione dei dipendenti pubblici: la soluzione fornita al tema dalla Sezione Autonomie ha lo sgradevolissimo sapore dell’apoditticità, dell’affermazione autoreferenziale.
Ancora più sgradevole, poi, è l’impressione che la Sezione Autonomie abbai adottato una decisione sostanzialmente “salomonica” se non “politica”: non dimentichiamo che la delibera è successiva alla “nota interpretativa” dell’Anci sulla questione dei resti assunzionali. Una nota basata su ragionamenti del tutto infondati [1], ma che ha svelato l’irritazione dei sindaci, che si sentono “oppressi” da una legge, la 190/2014, che ne limita l’autonomia di poter selezionare per concorso il personale di cui hanno bisogno. La deliberazione 19/2015 della Sezione Autonomie era stata già fin troppo dirompente: dopo il colpo al cerchio “pro-province”, dunque, ecco il colpo alla botte “pro-comuni”. Proprio l’assenza di un qualsiasi approfondimento motivazionale alla soluzione espressa dalla Sezione Autonomie con la delibera 26/2015 desta legittime – anche se magari infondate – impressioni che si tratti di una sorta di “accomodamento”.
Ovviamente, le conclusioni tratte dalla Sezione Autonomie con la deliberazione 26/2015 sono da rigettare integralmente.
I resti delle assunzioni, come è ovvio che sia, accedono agli spazi finanziari dell’anno in corso, costituendo un insieme unico, che amplia dunque le possibilità di assunzione. Per il 2015, si utilizza quanto deriva dalle cessazioni del 2014: una massa di disponibilità finanziarie a sua volta composta dalle risorse non spese 2011-2013 in un unicum non scindibile.
Pertanto, non c’è alcuna possibilità per gli enti locali di utilizzare i resti per procedere a concorsi finalizzati ad assunzioni non destinate ai dipendenti provinciali in sovrannumero o ai vincitori dei concorsi le cui graduatorie siano vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015.
L’interpretazione fornita dall’associazione dei comuni e, da ultimo, dalla deliberazione 26/2015 della Sezione Autonomie suggerisce l’ipotesi di poter considerare una distinzione tra assunzioni “di competenza” ed “assunzioni di cassa”, ammettendo, dunque, che sia possibile assumere negli anni 2015 e 2016, al di fuori del congelamento imposto (piaccia o no) dalla legge 190/2014 alle assunzioni, se il finanziamento provenga dal triennio 2011- 2013.
Ma, se il d.l. 78/2015 ora consente – come era normale da sempre immaginare e a smentita clamorosa delle indicazioni della delibera 27/2014 della Sezione Autonomie – di utilizzare in via rendicontativa e non futura i resti assunzionali, è evidente che essi accedono ed aumentano gli spazi di assunzione degli anni 2015 e 2016, ma non permettono di effettuare assunzioni diverse da quelle consentite dai commi 424 e 425 della legge 190/2014.
Nel caso delle assunzioni la “provenienza” delle fonti di finanziamento non può avere il benché minimo valore ad incidere in un regime normativo di tipo speciale, come ha accertato proprio la Sezione Autonomie con la deliberazione 19/2015, che congela le assunzioni per due anni per perseguire il prioritario obiettivo di ricollocare circa 20.000 persone.
Se il contratto di lavoro è stipulato negli anni 2015 e 2016, nei quali opera il congelamento, detto contratto non può che risultare nullo, anche se in tutto o in parte lo spazio assunzionale risulti finanziato con i resti del triennio precedente.
I comuni, ovviamente, hanno accolto con grande entusiasmo la deliberazione 26/2015, alzando la bandiera della riconquistata autonomia di fare i concorsi, per assumere. A conferma dell’atteggiamento fin da subito molto chiaro di voler fermamente intralciare la difficilissima procedura di ricollocazione dei 20.000 lavoratori provinciali in sovrannumero. Atteggiamento confermato dagli innumerevoli quesiti alle sezioni regionali, dall’assenza pressoché totale di bandi di mobilità riservata, dall’insistenza nell’applicare anche l’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000.
Una delle affermazioni oggettivamente meno credibili e fondate per giustificare la riforma delle province consisteva nel sottolineare che esse sarebbero divenute “agenzie dei comuni, al loro servizio”. L’Anci e la grandissima parte dei comuni dimostrano in modo plateale che questo non è affatto vero: considerano le province come qualcosa di “altro da sé”, per esempio nelle pletoriche e francamente poco utili assemblee dei sindaci, nelle quale si riuniscono centinaia di persone, molte delle quali sono delegati dei sindaci, che in modo annoiato e infastidito ascoltano i presidenti delle province nei loro monologhi, con pochissimi interventi, molti dei quali utili solo come cahier de doleance. La totale assenza della volontà di farsi carico del problema, ma soprattutto dell’opportunità di acquisire in mobilità i soprannumerari provinciali è la conferma plateale della circostanza che i comuni non considerino per nulla le province un’agenzia di loro emanazione e per la loro utilità.
Non è dato comprendere quali siano le ragioni che inducano tuttora i comuni ad essere causa fra le principali dell’inattuazione della legge 190/2014.
I comuni da sempre, a giustissima ragione, rivendicano di avere poco personale. Per quale motivo, allora, il rifiuto e la chiusura totale all’opportunità di acquisire 20.000 dipendenti con una semplicissima procedura di mobilità riservata?
E’ credibile sostenere che i comuni possano acquisire la provvista di personale di cui hanno bisogno (per quanto riguarda vigili, educatori e docenti delle scuole rimediano il maxiemendamento alla legge di conversione del d.l. 78/2015 e la stessa delibera della Sezione Autonomie 19/2015 per tutte le altre figure di specifica professionalità, come assistenti sociali) mediante concorsi, finanziati con i residui assunzionali, più velocemente che con la mobilità?
Altre domande ancora si pongono in merito alla lettura fallace della questione dei resti, assentita acriticamente dalla Sezione Autonomie. Per esempio: chi controllerà che i comuni utilizzeranno davvero solo i resti assunzionali per procedere ai concorsi extra congelamento? La Corte dei conti?
Ancora: la Sezione Autonomie ha tenuto conto della circostanza che i concorsi debbono necessariamente essere sempre preceduti, ai sensi dell’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001, dalla mobilità volontaria? Ma, se con la deliberazione 19/2015 la Sezione Autonomie ha stabilito che i comuni non possono coprire i posti vacanti della dotazione organica con la mobilità volontaria nemmeno se “neutra”, cioè nemmeno se non intacchi le risorse assunzionali, come può nello stesso tempo ammettere che sia possibile una mobilità anticipatrice del concorso, visto che l’effetto di tale mobilità sarebbe esattamente quello di sottrarre i posti vacanti al fine prioritario della ricollocazione?
E nel momento in cui ad un comune che, entusiasta e festante per la delibera 26/2015, abbia attivato la procedura concorsuale e la relativa mobilità propedeutica, si presentino per la mobilità sia dipendenti provinciali in sovrannumero, sia altri dipendenti, cosa succede? Può decidere di assumere il dipendente non in sovrannumero? Può decidere di non acquisire nessuno in mobilità e procedere egualmente per concorso?
Ma, la Corte dei conti, Sezione Autonomie, così come i comuni in questi giorni impegnati a riempire di bandiere festose i propri edifici per inneggiare alla deliberazione 26/2015, hanno considerato che qualsiasi dipendente provinciale potrebbe rivolgersi al giudice ordinario, per chiedere l’accertamento della nullità di assunzioni comunque effettuate in violazione dell’articolo 1, comma 190/2014 insieme con il risarcimento del danno per la perdita di chance dovuta alla sottrazione di posti disponibili per soddisfare il diritto alla ricollocazione, fondato dalla legge? La Corte dei conti ed i comuni lo sanno che il giudice ordinario non si sentirebbe per nulla vincolato dall’interpretazione fornita dalla magistratura contabile in sede di controllo? Lo sanno che le probabilità che anche un solo giudice ordinario pronunci la nullità di queste assunzioni sono molto elevate?
C’è, oggettivamente, da chiedersi quale sia il livello di responsabilità complessiva di tutti i protagonisti di questa vicenda. Del Governo e del Parlamento in primo luogo, autori di una riforma delle province qualificabile solo come devastante, nonché di una norma come l’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014 involuta, contorta, laconica, mal concepita, peggio scritta, per altro sanzionata, per la sua violazione, con la nullità; i comuni e tutte le altre PA che hanno brillato solo per atteggiamenti dilatori ed ostacolatori della ricollocazione dei soprannumerari; le stesse province, che in molti casi hanno assunto a loro volta atteggiamenti di attesa, non indicando i dipendenti in sovrannumero; la magistratura contabile, che ha brillato solo per i propri contrasti interni sulle varie questioni, contribuendo in modo decisivo a far sì che ancora ad agosto 2015, a soli 17 mesi dalla scadenza del 31.12.2016 conseguita la quale migliaia di dipendenti provinciali si troveranno in disponibilità, ancora non si muove foglia e vi è solo incertezza.
Infine, ma la Sezione Autonomie che approva la deliberazione 26/2015, si è accorta del contrasto con la Sezione Autonomie autrice della delibera 19/2015? Ed è la stessa che ha approvato la “Relazione sugli andamenti della finanza territoriale” relativa al 2014, nella quale lancia – giustamente – l’allarme sulla riforma delle province, evidenziando: “Lo stato di precarietà della situazione finanziaria degli enti di area vasta, rappresentato nella predetta relazione, e l’aggravamento ipotizzato, soprattutto nella prospettiva dell’esercizio in corso, stanno avendo progressiva conferma, considerata la fase avanzata della gestione 2015 e la mancanza di novità sul fronte dell’attuazione del riordino. Ci si riferisce, in particolare, alle ricadute sulle gestioni finanziarie interessate, generate dall’anticipazione degli effetti finanziari relativi ai tagli di spesa disposti dalla legge di stabilità 2015, rispetto all’alleggerimento della spesa corrente che sarebbe dovuto conseguire al trasferimento degli oneri del personale a seguito della riallocazione delle funzioni non fondamentali. Di relativa efficacia appaiono le misure previste nel decreto legge 19 giugno 2015, n. 78 in tema di trasferimento del personale appartenente ai ruoli della polizia provinciale e quelle riguardanti la modulazione delle sanzioni per il mancato rispetto dei vincoli del patto di stabilità per il 2014. La forbice tra risorse correnti e fabbisogno per l’esercizio delle funzioni fondamentali, allo stato delle cose, tende ad una profonda divaricazione, difficilmente sostenibile per l’intero comparto, e postula l’adozione di interventi necessari a garantire servizi di primaria importanza”. Non si rende conto, la Sezione Autonomie, che assentendo alla tesi, infondata, della possibilità di utilizzare i resti (del passato) assunzionali per concorsi extra vincolo del comma 424, si contribuisce proprio a non conseguire l’alleggerimento della spesa corrente delle province?
[1] Per una confutazione delle tesi dell’Anci: L. Oliveri, Resti assunzionali, le infondate interpretazioni dell’Anci https://www.leggioggi.it/2015/07/14/resti-assunzionali-infondate-interpretazioni-dellanci/
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